terça-feira, 15 de setembro de 2015

20150915 Francesco Guccini Ritratti 2004

Francesco Guccini 
Ritratti
2004


Ritratti (2004) è il ventesimo album del cantautore italiano Francesco Guccini.





Musicisti:

Francesco Guccini: voce
Vince Tempera: pianoforte, tastiera
Antonio Marangolo: sax e percussioni
Roberto Manuzzi: sax, tastiera, armonica a bocca
Ares Tavolazzi: basso, contrabbasso
Pierluigi Mingotti: basso
Juan Carlos "Flaco" Biondini: chitarra, cori, bouzouki
Ellade Bandini: batteria
Daniele Di Bonaventura: bandoneon
Giancarlo Bianchetti: chitarra ritmica in Odysseus






=

Autores:

01 Odỳsseus > Francesco Guccini
02 Una canzone > Francesco Guccini
03 Canzone per il Che > 
   Testo: Manuel Vázquez Montalbán Francesco Guccini
   Musica: Juan Carlos Biondini
04 Piazza Alimonda > Francesco Guccini
05 Vite > Francesco Guccini
06 Cristoforo Colombo >
   Testo: Francesco Guccini e Giuseppe Dati
   Musica: Giuseppe Dati e Marco Fontana)
07 Certo non sai >
   Testo: Francesco Guccini
   Musica> Antonio Marangolo
08 La żiatta (La tieta)  
   Testo: Francesco Guccini
   Musica: Joan Manuel Serrat
09 La tua libertà > Francesco Guccini


01 Odỳsseus (04.29
02 Una canzone (04.39
03 Canzone per il Che (05.14
04 Piazza Alimonda (05.53
05 Vite (05.38
06 Cristoforo Colombo (05.51
07 Certo non sai (04.28
08 La żiatta (La tieta (05.48
09 La tua libertà (04.35





===

01 Odỳsseus (04.29

Bisogna che lo affermi fortemente 
che, certo, non appartenevo al mare 
anche se Dei d'Olimpo e umana gente 
mi sospinsero un giorno a navigare 
e se guardavo l'isola petrosa 
ulivi e armenti sopra a ogni collina 
c'era il mio cuore al sommo d'ogni cosa 
c'era l'anima mia che è contadina; 
un'isola d'aratro e di frumento 
senza le vele, senza pescatori, 
il sudore e la terra erano argento 
il vino e l'olio erano i miei ori. 

Ma se tu guardi un monte che hai di faccia 
senti che ti sospinge a un altro monte, 
un'isola col mare che l'abbraccia 
ti chiama a un'altra isola di fronte 
e diedi un volto a quelle mie chimere 
le navi costruii di forma ardita, 
concave navi dalle vele nere 
e nel mare cambiò quella mia vita 
e il mare trascurato mi travolse: 
seppi che il mio futuro era nel mare 
con un dubbio però che non si sciolse 
senza futuro era il mio navigare 

Ma nel futuro trame di passato 
si uniscono a brandelli di presente, 
ti esalta l'acqua e il gusto del salato 
brucia la mente 
e ad ogni viaggio reinventarsi un mito 
a ogni incontro ridisegnare il mondo 
e perdersi nel gusto del proibito 
sempre più in fondo 

E andare in giorni bianchi come arsura, 
soffio di vento e forza delle braccia, 
mano al timone e sguardo nella pura 
schiuma che lascia effimera una traccia; 
andare nella notte che ti avvolge 
scrutando delle stelle il tremolare 
in alto l'Orsa è un segno che ti volge 
diritta verso il Nord della Polare. 
E andare come spinto dal destino 
verso una guerra, verso l'avventura 
e tornare contro ogni vaticino 
contro gli Dei e contro la paura. 

E andare verso isole incantate, 
verso altri amori, verso forze arcane, 
compagni persi e navi naufragati; 
per mesi, anni, o soltanto settimane? 
La memoria confonde e dà l'oblio, 
chi era Nausicaa, e dove le sirene? 
Circe e Calypso perse nel brusio 
di voci che non so legare assieme. 
Mi sfuggono il timone, vela, remo, 
la frattura fra inizio ed il finire, 
l'urlo dell'accecato Polifemo 
ed il mio navigare per fuggire. 

E fuggendo si muore e la mia morte 
sento vicina quando tutto tace 
sul mare, e maledico la mia sorte 
non trovo pace. 
forse perché sono rimasto solo 
ma allora non tremava la mia mano 
e i remi mutai in ali al folle volo 
oltre l'umano. 

La vita del mare segna false rotte, 
ingannevole in mare ogni tracciato, 
solo leggende perse nella notte 
perenne di chi un giorno mi ha cantato 
donandomi però un'eterna vita 
racchiusa in versi, in ritmi, in una rima, 
dandomi ancora la gioia infinita 
di entrare in porti 
sconosciuti prima. 

02 Una canzone (04.39

La canzone è una penna e un foglio 
così fragili fra queste dita, 
è quel che non è, è l'erba voglio 
ma può essere complessa come la vita. 
La canzone è una vaga farfalla 
che vola via nell'aria leggera, 
una macchia azzurra, una rosa gialla, 
un respiro di vento la sera, 
una lucciola accesa in un prato, 
un sospiro fatto di niente 
ma qualche volta se ti ha afferrato 
ti rimane per sempre in mente 
e la scrive gente quasi normale 
ma con l'anima come un bambino 
che ogni tanto si mette le ali 
e con le parole gioca a rimpiattino. 

La canzone è una stella filante 
che qualche volta diventa cometa 
una meteora di fuoco bruciante 
però impalpabile come la seta. 
La canzone può aprirti il cuore 
con la ragione o col sentimento 
fatta di pane, vino, sudore 
lunga una vita, lunga un momento. 
Si può cantare a voce sguaiata 
quando sei in branco, per allegria 
o la sussurri appena accennata 
se ti circonda la malinconia 
e ti ricorda quel canto muto 
la donna che ha fatto innamorare 
le vite che tu non hai vissuto 
e quella che tu vuoi dimenticare. 

La canzone è una scatola magica 
spesso riempita di cose futili 
ma se la intessi d'ironia tragica 
ti spazza via i ritornelli inutili; 
è un manifesto che puoi riempire 
con cose e facce da raccontare 
esili vite da rivestire 
e storie minime da ripagare 
fatta con sette note essenziali 
e quattro accordi cuciti in croce 
sopra chitarre più che normali 
ed una voce che non è voce 
ma con carambola lessicale 
può essere un prisma di rifrazione 
cristallo e pietra filosofale 
svettante in aria come un falcone. 

Perché può nascere da un male oscuro 
che è difficile diagnosticare 
fra il passato appesa e il futuro, 
lì presente e pronta a scappare 
e la canzone diventa un sasso 
lama, martello, una polveriera 
che a volte morde e colpisce basso 
e a volte sventola come bandiera. 
La urli allora un giorno di rabbia 
la getti in faccia a chi non ti piace 
un grimaldello che apre ogni gabbia 
pronta ad irridere chi canta e tace. 
Però alla fine è fatta di fumo 
veste la stoffa delle illusioni, 
nebbie, ricordi, pena, profumo: 
son tutto questo le mie canzoni 
son tutto questo le mie canzoni. 

03 Canzone per il Che (05.14

Un popolo può liberare se stesso 
dalle sue gabbie di animali elettrodomestici, 
ma all'avanguardia d'America 
dobbiamo far dei sacrifici 
verso il cammino lento della piena libertà. 
E se il rivoluzionario 
non trova altro riposo che la morte, 
che rinunci al riposo e sopravviva 
niente o nessuno lo trattenga 
anche per il momento di un bacio 
o per qualche calore di pelle o prebenda. 

I problemi di coscienza interessano tanto 
quanto la piena perfezione di un risultato; 
lottiamo contro la miseria, 
ma allo stesso tempo contro la sopraffazione. 
Lasciate che lo dica 
ma il rivoluzionario quando è vero 
è guidato da un grande sentimento d'amore, 
ha dei figli che non riescono a chiamarlo, 
mogli che fanno parte di quel sacrificio; 
suoi amici sono i compañeros della revolución. 

Addio vecchi 
oggi è il giorno conclusivo, 
non lo cerco ma è già tutto nel mio calcolo. 
Addio Fidel, 
oggi è l'atto conclusivo 
sotto il mio cielo 
della gran patria di Bolívar, 
la luna di Higueras è la luna di Playa Girón. 
Sono un rivoluzionario cubano, 
sono un rivoluzionario d'America. 

"Signor colonnello 
sono Ernesto "Che" Guevara. 
Mi spari, 
tanto sarò utile da morto, 
come da vivo. 

04 Piazza Alimonda (05.53

Genova, schiacciata sul mare, sembra cercare 
respiro al largo, verso l'orizzonte. 
Genova, repubblicana di cuore, vento di sale, 
d'anima forte. 
Genova che si perde in centro nei labirintici vecchi carrugi, 
parole antiche e nuove sparate a colpi come da archibugi. 
Genova, quella giornata di luglio, d'un caldo torrido 
d'Africa nera. 
Sfera di sole a piombo, rombo di gente, tesa atmosfera. 
Nera o blu l'uniforme, precisi gli ordini, sudore e rabbia; 
facce e scudi da Opliti, l'odio di dentro come una scabbia. 
Ma poco più lontano, un pensionato ed un vecchio cane 
guardavano un aeroplano che lento andava macchiando il mare; 
una voce spezzava l'urlare estatico dei bambini. 

Panni distesi al sole, come una beffa, dentro ai giardini. 
Uscir di casa a vent'anni è quasi un obbligo, quasi un dovere, 
piacere d'incontri a grappoli, ideali identici, essere e avere, 
la grande folla chiama, canti e colori, grida ed avanza, 
sfida il sole implacabile, quasi incredibile passo di danza. 
Genova chiusa da sbarre, Genova soffre come in prigione, 
Genova marcata a vista attende un soffio di liberazione. 
Dentro gli uffici uomini freddi discutono la strategia 
e uomini caldi esplodono un colpo secco, morte e follia. 
Si rompe il tempo e l'attimo, per un istante, resta sospeso, 

appeso al buio e al niente, poi l'assurdo video ritorna 

acceso; 
marionette si muovono, cercando alibi per quelle vite 
dissipate e disperse nell'aspro odore della cordite. 

Genova non sa ancora niente, lenta agonizza, fuoco e rumore, 
ma come quella vita giovane spenta, Genova muore. 
Per quanti giorni l'odio colpirà ancora a mani piene. 
Genova risponde al porto con l'urlo alto delle sirene. 
Poi tutto ricomincia come ogni giorno e chi ha la ragione, 
dico nobili uomini, danno implacabile giustificazione, 
come ci fosse un modo, uno soltanto, per riportare 
una vita troncata, tutta una vita da immaginare. 
Genova non ha scordato perché è difficile dimenticare, 
c'è traffico, mare e accento danzante e vicoli da camminare. 
La Lanterna impassibile guarda da secoli gli scogli e l'onda. 
Ritorna come sempre, quasi normale, piazza Alimonda. 

La "salvia splendens" luccica, copre un'aiuola triangolare, 
viaggia il traffico solito scorrendo rapido e irregolare. 
Dal bar caffè e grappini, verde un'edicola vende la vita. 
Resta, amara e indelebile, la traccia aperta di una ferita. 

05 Vite (05.38

Mi affascina il mistero delle vite 
che si dipanano lungo la scacchiera 
di giorni e strade, foto scolorite 
memoria di vent'anni o di una sera. 
E mi coinvolge l'eterno gocciolare 
e il tempo sopra il viso di un passante 
e il chiedermi se nei suoi occhi appare 
l'insulto di una morte o di un'amante, 
la rete misteriosa dei rapporti 
che lega coi suoi fili evanescenti 
la giostra eterna di ragioni o torti 
il rintocco scaglioso dei momenti, 
il mondo visto con gli occhi asfaltati 
rincorrendo il balletto delle ore 
noi che sappiamo dove siamo nati 
ma non sapremo mai dove si muore. 

Mi piace rovistare nei ricordi 
di altre persone, inverni o primavere 
per perdere o trovare dei raccordi 
nell'apparente caos di un rigattiere: 
quadri per cui qualcuno è stato in posa, 
un cannocchiale che ha guardato un punto, 
un mappamondo, due bijou, una rosa, 
ciarpame un tempo bello e ora consunto, 
pensare chi può averli adoperati, 
cercare una risposta alla sciarada 
del perché sono stati abbandonati 
come un cane lasciato sulla strada. 
Oggetti che qualcuno ha forse amato 
ora giacciono lì, senza un padrone, 
senza funzione, senza storia o stato, 
nell'intreccio di caso o di ragione. 

E la mia vita cade in altra vita 
ed io mi sento solamente un punto 
lungo la retta lucida e infinita 
di un meccanismo immobile e presunto. 
Tu sei quelli che son venuti prima 
che in parte hai conosciuto, e quelli dopo 
che non conoscerai, come una rima 
vibrante e bella, però senza scopo. 
É inutile cercare una risposta, 
sai che non ce ne sono e allora tenti 
un bussare distratto a quella porta 
che si chiuse soltanto ai sentimenti. 
Non saprai e non sai. 
Questo dolore che vagli fra le magli di un tuo cribro 
svanisce un po' nel contemplare un fiore 
si scorda fra le pagine di un libro. 

Perché non si fa a meno di altre vite 
anche rubate a pagine che sfogli 
oziosamente, e ambiguo le hai assorbite 
da fantasmi inventati che tu spogli 
rivestendoti in loro piano piano 
come se ti scoprissi in uno specchio 
L'Uomo a Dublino, o l'ultimo Mohicano 
che ai 25 si sentiva vecchio. 
E percorriamo strade non più usate 
figurando chi un giorno ci passava 
e scrutiamo le case abbandonate 
chiedendoci che vite le abitava, 
perché la nostra è sufficiente appena 
ne mescoliamo inconsciamente il senso; 
siamo gli attori ingenui di un palcoscenico 
misterioso e immenso. 

06 Cristoforo Colombo (05.51

È gia stanco di vagabondare sotto un cielo sfibrato 
per quel regno affacciato sul mare ch'è dai Mori insidiato 
e di terra ne ha avuta abbastanza, non di vele e di prua, 
perché ha trovato una strada di stelle nel cielo dell'anima sua. 
Se lo sente, non può più fallire, scoprirà un nuovo mondo; 
quell'attesa lo lascia impaurito di toccare già il fondo. 
Non gli manca il coraggio o la forza per vivere quella follia 
e anche senza equipaggio, anche fosse un miraggio, ormai salperà via. 

E la Spagna di spada e di croce riconquista Granada, 
con chitarre gitane e flamenco fa suonare ogni strada; 
Isabella è la grande regina del Guadalquivir 
ma come lui è una donna convinta che il mondo non può finir lì. 
Ha la mente già tesa all'impresa sull'oceano profondo, 
caravelle e una ciurma ha concesso, per quel viaggio tremendo, 
per cercare di un mondo lontano ed incerto che non sa se ci sia 
ma è già l'alba e sul molo l'abbraccia una raffica di nostalgia. 

E naviga, naviga via 
verso un mondo impensabile ancora da ogni teoria. 
Naviga, naviga via, 
nel suo cuore la Niña, la Pinta e la Santa Maria. 

È da un mese che naviga a vuoto quell'Atlantico amaro, 
ma continua a puntare l'ignoto con lo sguardo corsaro; 
sarà forse un'assurda battagli ma ignorare non puoi 
che l'assurdo ci sfida per spingerci ad essere fieri di noi. 
Quante volte ha sfidato il destino aggrappato ad un legno, 
senza patria bestemmia in latino, quando il bere è l'impegno. 
Per fortuna che il vino non manca e trasforma la vigliaccheria 
di una ciurma ribelle e già stanca, in un'isola di compagnia. 

E naviga, naviga via, 
sulla prua che s'impenna violenta lasciando una scia. 
Naviga, naviga via, 
nel suo cuore la Niña, la Pinta e la Santa Maria. 

Non si era sentito mai solo come in quel momento 
ma ha imparato dal vivere in mare a non darsi per vinto; 
andrà a sbattere in quell'orizzonte, se una terra non c'è. 
Grida: "Fuori, sul ponte, compagni! Dovete fidarvi di me!" 
Anche se non accenna a spezzarsi quel tramonto di vetro, 
ma li aspettano fame e rimorso se tornassero indietro, 
proprio adesso che manca un respiro per giungere alla verità, 
a quel mondo che ha forse per faro una fiaccola di libertà. 

E naviga, naviga là 
come prima di nascere l'anima naviga già. 
Naviga, naviga ma 
quell'oceano è di sogni e di sabbia 
poi si alza un sipario di nebbia 
e come un circo illusorio s'illumina l'America. 

Dove il sogno dell'oro ha creato 
mendicanti di un senso 
che galleggiano vacui nel vuoto 
affamati d'immenso. 
Là babeliche torri in cristallo 
già più alte del cielo 
fan subire al tuo cuore uno stallo 
come a un Icaro in volo, 
dove da una prigione a una luna d'amianto 
"l'uomo morto cammina" 
dove il Giorno del Ringraziamento 
il tacchino in cucina 
e mentre sciami assordanti d'aerei 
circondano di ragnatele 
quell'inutile America amara 
leva l'ancora e alza le vele. 

E naviga, naviga via 
più lontano possibile 
da quell'assordante bugia 
naviga, naviga via, 
nel suo cuore la Niña, la Pinta e la Santa Maria. 

07 Certo non sai (04.28

Certo non sai quanto sei dolce e bella quando dormi 
coi tuoi capelli sparsi e abbandonati sul cuscino 
neri e lucenti, come degli stormi 
di corvi in volo chiaro del mattino. 
Certo non so che cosa puoi sognare quando sogni 
e appare solo appena un lieve affanno nel respiro 
che ti esce piano e si mescola coi suoni 
di questa notte che si consuma in giro. 
E sulla tua fronte gocce di sudore; 
io vorrei asciugarle, io vorrei parlarti, 
dirti cose vane ma c'è in me il timore 
di spezzarti il sonno, forse di svegliarti. 
Forse non sai quando sia felice nel vederti 
addormentata e persa accanto a me, stesa vicino; 
quanto sia bello il gioco dell'averti 
in sogno verso chissà quale destino. 

Certo non sai quanto mi commuovi quando dici 
parole strane e quasi senza senso a mezza voce, 
forse ricordi di attimi felici 
persi in un atomo onirico veloce. 
Certo non so con cosa o chi sorride quel sorriso; 
dicon con gli angeli ma il nostro cielo è quello umano, 
un lampo breve che dà luce al viso 
accarezzato da questa mia mano. 
Questa breve notte lenta si frantuma 
ed il nuovo giorno piano sta arrivando, 
già sull'est albeggia, non c'è più la luna; 
sveglia ti alzi e chiedi: “Cosa stai guardando?” 
Forse non sai quando di sonno e di notte sei bagnata 
quanto ti ami e quanto siano vuote le parole; 
chiedo: “Che sogni ti hanno accompagnata?” 
e fuori il giorno esplode al nuovo sole. 

08 La żiatta (La tieta (05.48

A la desterà al veint 
con un colp al persian 
l'è acsè lèrgh al sòo let 
e i linzòo fradd e grand 
tòt dò i oc' mez e srèe 
zercherà n'ètra man 
sèinza catèr nisun 
come aièr, come edman 
Al so stèr da per lèe 
l'è un sò amigh da tant'an 
ch'a l' ch'gnass tòtt i sòo quèl 
fin al pighi dla man; 
la scultarà al gnulèr 
d'un gat vec' e castrèe 
ch'a gh' dòrm inzèmma a i znoc 
d'invèren tòtt al dè. 

Un breviari apugièe 
in vatta a la tulatta 
e un gaz d'acqua trincèe 
quand a s'lèva la ziatta 

Un spec' vec' e incrinèe 
a gh'arcurdarà pian 
come al tiemp l'è pasèe 
come in vulèe via i an, 
e gl'insaggni dl'etèe 
per al stridi i s' sèn pèrs, 
quanti rughi ch'a gh'è 
e i oc' come i èn divèrs. 

L'a gh' butarà un suris 
la purtinèra ed ca' 
per l'urgói cg' a gh'la lèe 
perché a gh' fa bèin i fat; 
tòtt i dè fèr l'istass 
ciapèr al filibùs 
per badèr ai tragatt 
d'un avuchèe nèe stóff, 
cun al quèl an andrèe 
l'aviva fat la “stratta” 
ma tant tèimp l'è pasèe 
ch'a n s'arcorda la ziatta. 

Lèe ch'l'ha sèimpr in piò un piat 
quand ariva Nadèl, 
lèe ch'la ‘n vòl mai nisun 
se un dè, a chès, l'a s' sèint mèl, 
lèe ch'l'a ‘n gh'ha gnanca un fióo 
sol quall ed sóo fradel, 
lèe ch'l dis: “L'a ‘n va mel!” 
Ch'l'a dis: “A fagh tant bè!” 

E la dmanga del Pèlmi 
la cumprarà a sòo anvod 
un bel ram longh d'uliv 
e un pèr ed calzatt nóv 
e po' in cesa tótt dóo 
i faran come al pret 
e i pregherai Gesó 
ch'a l'va a Gerusalem; 

pó a gh' darà soquant franch 
de mattr'ind ‘na casatta 
perché a s' dèv risparmièr 
com la fa lèe, ziatta. 

E un dè a s'gh'ha da murir 
com' piò o meno i fan tótt, 
cun ‘na frèva da gnint 
l'andrà in cal po'st tant brótt; 

l'avrà bele paghe 
un prèt ch'a s'sèint a po'st, 
la casa, al funerèl 
e la Massa di mort, 
E i fior ch'i andrai andrèe 
al sóo trèst suplimèint 
i èn cal cosi che pass 
a l' se scorda la zèint; 

a gh' resterà po' i fior 
e i drap negher e zal 
e dedrèe un vec' amigh 
scuvèrt un mumèint fa 
e un santèin a l' dirà 
ch'l'è morta n'ètra sciatta; 
ch'l'arpóunsa in pès, amen, 
e scurdaramm la ziatta. 

09 La tua libertà (04.35

Oltre le mura 
della città 
un orizzonte insegue un orizzonte; 
a un'autostrada, un'altra seguirà, 
gli spazi sono fatti per andare; 
la tua libertà, 
se vuoi, la puoi trovare. 
E un uomo saggio 
regole farà, 
una prigione fatta di parole; 
i carcerieri 
di una società 
ti impediranno di cercare il sole; 
la tua libertà, 
se vuoi, la puoi avere. 

Fossi un uccello 
alto nel cielo 
potrei volare senza aver padroni; 
se fossi un fiume 
potrei andare 
rompendo gli argini nelle mie alluvioni 

E boschi e boschi 
cerco attorno a me 
dov'è la terra che non ha barriere? 
dov'è quel vento 
che ci spingerà 
come le vele o le bandiere; 
la tua libertà 
se vuoi la puoi avere. 
Fossi un uccello 
alto nel cielo 
potrei volare senza aver padroni; 
se fossi un fiume 
potrei andare 
rompendo gli argini nelle mie alluvioni 

Ma sono un uomo 
uno fra milioni 
e come gli altri ho il peso della vita 
e la mia strada 
lungo le stagioni 
può essere breve, ma può essere infinita; 
la tua libertà 
cercala, che si è smarrita, 
cercala, che si è smarrita. 

=====

*
*** Note e significato
*

01 Odỳsseus (04.29

“Odỳsseus”  è dedicata al mitico personaggio di Ulisse (in greco, Odisseo) e presenta il seguente sottotitolo: “con ringraziamenti e scuse a Omero, Dante, Foscolo, C. Kavafis, J. C. Izzo, A. prandi”  . 

Nausicaa Nausicaa  
(o anche Nausica), figlia del Re dei Feaci Alcinoo, 
è una figura della mitologia greca citata nel sesto libro dell'Odissea. 
L'incontro tra la Principessa e Ulisse avviene su una spiaggia, 
dove Nausicaa sta giocando con delle ancelle. 
Le giovani svegliano inavvertitamente Ulisse che, appena naugragato sull'isola, 
sta dormendo in un cespuglio. 
Tutte scappano, tranne Nausicaa che conduce Ulisse alla corte del padre, 
il quale gli fornirà una barca per tornare in Patria. 
Segue un estratto dell'Odissea che narra l'incontro tra 
Ulisse e Nausicaa (traduzione di Ippolito Pindemonte): 

Nausica in man tolse la palla, e ad una 
Delle compagne la scagliò: la palla 
Desvïossi dal segno a cui volava, 
E nel profondo vortice cadé. 
Tutte misero allora un alto grido, 
Per cui si ruppe incontanente il sonno 
Nel capo a Ulisse; che a seder drizzossi 
Tai cose in sé volgendo: Ahi fra qual gente 
Mi ritrovo io? Cruda, villana, ingiusta, 
O amica degli estrani, e ai dii sommessa? 

Quel, che l'orecchio mi percosse, un grido 
Femminil parmi di fanciulle ninfe, 
Che de' monti su i gioghi erti, e de' fiumi 
Nelle sorgenti, e per l'erbose valli 
Albergano. O son forse umane voci, 
Che testé mi ferîro? Io senza indugio 
Dagli stessi occhi miei sapronne il vero. 


Nausicaa  La Maga Circe  

Personaggio mitologico citato nell'Odissea. Figlia di Elio, Dio del Sole, Circe abita nell'isola di Eea, nella quale Ulisse si imbatte. I compagni mandati in esplorazione vengono tramutati in maiali, grazie a un veleno 

mischiato al vino offerto loro da Circe. Solo Eurìloco, sospettoso, evita di bere e riesce ad avvertire Ulisse del pericolo, il quale parte immediatamente per trattare la liberazione dei compagni. Nel tragitto il dio Ermes 

gli offre un'erba in grado di renderlo immune al veleno di Circe. Segue un estratto dell'Odissea che narra la trasformazione dei compagni di Ulisse in animali (traduzione di Ippolito Pindemonte). Nell'immagine il dipinto 

“Circe Offering the Cup to Ulysses”  di J. W. Waterhouse (1849 - 1917), realizzato nel 1891 . 

La seguìan tutti incautamente salvo Eurìloco, che fuor, di qualche inganno 
Sospettando, restò. La dea li pose Sovra splendidi seggi: e lor mescea Il Pramnio vino con rappreso latte, Bianca farina e mel recente; e un succo Giungeavi esizïal, perché con questo Della patria l'obblìo ciascun bevesse. 
Preso e vôtato dai meschini il nappo, Circe batteali d'una verga, e in vile  Stalla chiudeali: avean di porco testa,  Corpo, sétole, voce; ma lo spirto Serbavan dentro, qual da prima, intègro. 


Calypso  

(o anche Calipso) è una ninfa dell'isola di Ogigia, sulla quale Ulisse approda dopo essere sfuggito al vortice di Cariddi. La bellezza di Calypso lo farà innamorare al punto di decidere di restare sull'isola per molti anni. 

Solo grazie all'intervento di Atena Ulisse riuscirà a ripartire per Itaca. Segue un estratto dell'Odissea che racconta di Calipso (traduzione di Ippolito Pindemonte): 

Ciò raccontarti senza fraude intendo 
Che un oracol verace, il marin vecchio 
Proteo, svelommi. Asseverava il nume 
Che molte e molte lagrime dagli occhi 
Spargere il vide in solitario scoglio, 
Soggiorno di Calipso, inclita ninfa, 
Che rimandarlo niega; ond'ei, cui solo 
Non avanza un naviglio, e non compagni 
Che il careggin del mar su l'ampio dorso, 
Star gli convien della sua patria in bando. 


02 Una canzone (04.39

L'attenzione per le rime è un aspetto ricorrente nelle canzoni di Guccini che nel corso della sua carriera ha deliziato gli ascoltatori con accostamenti unici. Dice di lui Umberto Eco: 

“Guccini è omerico, procede per agglomerazione, ha una gran sfacciataggine nell'osare una metafora dietro l'altra. Se vogliamo giocare al gioco del rifacimento celebre, dobbiamo pensare a Walt Whitman. E dentro ci sta tutto, 

la citazione dotta buttata là senza parere, la memoria intimistica, la descrizione paesaggistica.[�] Sembrerà strano (o no), ma con quella barba e quel suo corpaccio, con la sua erre padana e paesana, Guccini è forse il più colto dei cantautori in circolazione: la sua è poesia dotta, intarsio di riferimenti: che coraggio, far rimare ”  amare “ con 'Schopenhauer'!.”  

E Guccini racconta come la rima sia per lui un fattore culturale, quasi una cosa appartenente al suo vissuto: 

“La rima è importantissima. Da ragazzino leggevo il 'Corriere dei piccoli': 'Qui comincia l'avventura del signor Bonaventura�' Inoltre sono cresciuto in un'atmosfera toscaneggiante. I toscani erano improvvisatori di rime e di rime ne avevano in quantità illimitate. Quindi per me la rima è davvero molto importante, è un elemento istintivo legato all'infanzia. Da adulto poi mi sono accorto che la rima è qualcosa che vibra. La rima unisce le parole e fa cambiare il significato. E' come aggiungere una nota in un accordo: quella nota fa vibrare le altre note e apre delle risonanze particolari.” 


03 Canzone per il Che (05.14

Il testo di “Canzone per il Che”  è stato scritto in collaborazione con Manuel Vázquez Montalbán,. La musica è di Flaco Biondini. 

04 Piazza Alimonda (05.53

“Piazza Alimonda”  racconta i tristemente celebri fatti del  G8 di Genova  nel 2001 

05 Vite (05.38

Cribro  
Strumento simile ad un setaccio usato per separare il grano.

06 Cristoforo Colombo (05.51

“Cristoforo Colombo”  è stata scritta in collaborazione con Giuseppe Dati. Musiche di Giuseppe Dati e Marco Fontana. 

07 Certo non sai (04.28

La musica di “Certo non sai”  è del batterista Antonio Marangolo 

08 La żiatta (La tieta (05.48

La Zietta 

La sveglierà il vento 
con un colpo alle persiane 
è così largo il suo letto 
e le lenzuola fredde e grandi 
entrambi gli occhi sono mezzi chiusi 
cercherà un'altra mano 
senza trovare nessuno 
come ieri e come domani 

Il suo restare sola 
è suo amico da tanti anni 
che conosce tutti i suoi dettagli 
persino le pieghe delle mani 
alcolterà il pianto 
d'un gatto vecchio e castrato 
che le dorme sulle ginocchia 
d'inverno tutto il giorno 

Un breviario appoggiato 
sul ripiano del lavabo 
un goccio d'acqua (bevuto?) 
quando si alza la zietta 

Uno specchio vecchio e incrinato 
le ricorderà piano 
come il tempo è passato 
come sono volati via gli anni 
e i segni dell'età 
per le strade si son persi 
quante rughe che ci sono 
e gli occhi come sono diversi 

Ci butterà un sorriso 
la portinaia di casa 
per l'orgoglio che ha lei 
perché le fa bene i lavori domestici 

Tutti i giorni fare le stesse cose 
prendere il filobus 
per badare agli affari 
d'un avvocato nato stanco 
che anni prima 
aveva corteggiato (credo, non sono sicuro) 
ma tanto tempo è passato 
che non si ricorda la zietta 
Lei che ha sempre un piatto in più 
quando arriva Natale 
lei che non vuole mai nessuno 
se un giorno, per caso, si sente male 
lei che non ha nemmeno un figlio 
solo quello di suo fratello 
lei che dice "non va male" 
che dice "faccio tanto (bene?)" 

E la domenica delle Palme 
comprerà a suo nipote 
un bel ramo lungo d'ulivo 
e un paio di calze nuove 
e poi in chiese tutti e due 
faranno come il prete 
e pregheranno Gesù 
che va a Gerusalemme 

poi gli darà un po' di soldi 
da mettere nella cassetta 
perché si deve risparmiare 
come fa lei, zietta 

E un giorno si deve morire 
come più o meno fanno tutti 
con una febbre da niente 
andrà in quel posto così brutto 

avrà già pagato 
un prete che si sente a posto 
la cassa, il funerale 
e la Messa dei morti 
e i fiori che seguiranno 
la sua triste sepoltura 
sono quelle cose che passano 
e di cui la gente si scorda 

rimarranno poi i fiori 
e i drappi neri e gialli 
e dietro un vecchio amico 
scoperto un momento fa 
e un ricordino dirà 
che è morta un'altra schietta 
che riposa in pace, amen 
e scorderemo la zietta 

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“La Ziatta”  è cantata in dialetto emiliano. La versione originale della canzone , il cui testo è riportato alla fine della nota, è del cantante spagnolo  Joan Manuel Serrat  . 


La Tieta 

La despertará el viento de un golpe en los postigos. 
Su cama es tan larga y tan ancha. Y las sábanas están frías. 
Con los ojos medio cerrados buscará otra mano, 
sin encontrar ninguna, como ayer, como mañana. 

Su soledad es el amante fiel, 
que conoce su cuerpo pliegue a pliegue, palmo a palmo. 
Escuchará el maullido de un gato viejo y castrado, 
que en sus rodillas duerme las largas noches de invierno. 

Hay un misal dormido encima de la mesilla de noche, 
y un vaso de agua medio vacío cuando se levanta “la tieta”  . (la tía soltera). 

Un espejo resquebrajado le dirá: “Te haces mayor. 
¡Cómo ha pasado el tiempo! ¡Cómo han volado los años! 
¡Cómo se han perdido por las calles los sueños de juventud! 
¡Cómo se arruga la piel, cómo se hunden los ojos!.”  

La portera, a su paso, dibujará una sonrisa: 
es el orgullo de quien tiene alguien que le caliente la cama. 

Cada día lo mismo: coger el autobús, 
para trabajar en el despacho de un abogado gandul. 
Con quien en otro tiempo ella se hacía la estrecha. 
De eso hace tanto tiempo. Ni lo recuerda “la tieta”  (la tía soltera). 
Con quien en otro tiempo ella se hacía la estrecha. 
De eso hace tanto tiempo. Ni lo recuerda “la tieta”  

La que siempre tiene un plato cuando llega Navidad. 
La que no quiere nadie si un buen día cae enferma. 
La que no tiene más hijos que los hijos de sus hermanos. 
La que dice: “Todo va bien”  . La que dice: “¡Qué más da!”  

Y el Domingo de Ramos le comprará a su ahijado, 
un palmón largo y blanco y un par de calcetines; 
y en la iglesia los dos harán lo que hace el cura 
y alabarán a Jesús que entra en Jerusalén. 

Le dará veinte duritos para abrir una libreta: 
hay que ahorrar el dinero, como siempre hizo “la tieta”  . (la tía soltera) 
Le dará veinte duritos para abrir una libreta: 
hay que ahorrar el dinero, como siempre hizo “la tieta”  . 

Y un día se ha de morir, más o menos como todos. 
Se la llevará una gripe al agujero profundo. 

Entonces ya habrá pagado el nicho y el ataúd, 
los salmos de los sacerdotes, las misas de difuntos 
y las flores que acompañarán su entierro; 
son cosas que a menudo las olvida la gente. 

Y son tan bonitas las flores con crespones negros colgando, 
y detrás unos amigos, descubiertos hace un instante; 
y una esquela que dice. “Ha muerto la señorita. 
.descanse en paz. AMÉN”  . Y olvidaremos a “la tieta”  (la tía soltera). 
ra la, ra, ra la. 

09 La tua libertà (04.35

“La tua libertà”  è stata scritta da Guccini nel 1971. 

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