segunda-feira, 14 de setembro de 2015

20150914 Francesco Guccini Via Paolo Fabbri 43 1976

Francesco Guccini
Via Paolo Fabbri 43
1976






Via Paolo Fabbri 43 (1976) è il settimo album di Francesco Guccini.
Testi e musiche di Francesco Guccini.

Label: EMI ‎– 3C 064-18188 
Format: Vinyl, LP, Album 
Country: Italy  
Released: 1976  
Genre: Pop, Folk, World, & Country 

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01 Piccola storia ignobile (06.55
02 Canzone di notte n. 2 (04.59
03 L'avvelenata (04.41
04 Via Paolo Fabbri 43 (08.16
05 Canzone quasi d'amore (04.13
06 Il pensionato (04.26




Musicisti:

Francesco Guccini - voce, chitarra acustica
Ellade Bandini - batteria
Riccardo Grigolo - armonica a bocca
Deborah Kooperman - chitarra, banjo
Massimo Luca - chitarra classica
Alfredo Mancini - armonica a bocca
Giorgio Massini - chitarra elettrica, flauto dolce, dulcimer
Maurizio Preti - percussioni
Ares Tavolazzi - contrabbasso, basso elettrico
Vince Tempera - tastiera acustica, tastiera elettrica, tastiera elettronica
Maurizio Vandelli - chitarra, tastiera
+
Arranged By – Pier Farri 
Photography – Ennio Antonangeli, Roberta Bacilieri 
Technician – Bruno Malasoma
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01 Piccola storia ignobile (06.55

Ma che piccola storia ignobile mi tocca raccontare, così solita e banale come tante, 
che non merita nemmeno due colonne su un giornale, o una musica, o parole un po' rimate, 
che non merita nemmeno l'attenzione della gente: quante cose più importanti hanno da fare. 
Se tu te la sei voluta a loro non importa niente: te l'avevan detto che finivi male. 

Ma se tuo padre sapesse qual è stata la tua colpa rimarrebbe sopraffatto dal dolore, 
uno che poteva dire: "Guardo tutti a testa alta"; immaginasse appena il disonore! 
Lui, che quando tu sei nata mise via quella bottiglia per aprirla il giorno del tuo matrimonio; 
ti sognava laureata, era fiero di sua figlia: se solo immaginasse la vergogna! 

E pensare a quel che ha fatto per la tua educazione: buone scuole, e poca e giusta compagnia, 
allevata nei valori di famiglia e religione, di ubbidienza, castità, e di cortesia. 
Dimmi allora quel che hai fatto chi te l'ha mai messo in testa, o dimmi dove e quando l'hai imparato. 
Ché non hai mai visto in casa una cosa men che onesta e di certe cose non s'è mai parlato. 

E tua madre, che da madre qualche cosa l'ha intuita e sa leggere da madre ogni tuo sguardo, 
devi chiederle perdono, dire che ti sei pentita, che hai capito, che disprezzi quel tuo sbaglio, 
però come farai a dirle che nessuno ti ha costretta, o dirle che provavi anche piacere? 
Questo non potrà capirlo, perché lei, da donna onesta, l'ha fatto quasi sempre per dovere. 
E di lui non dire male, sei anche stata fortunata: in questi casi, sai, lo fanno in molti. 
Sì, lo so, quando lo hai detto, come si usa ti ha lasciata, ma ti ha trovato l'indirizzo e i soldi. 
Poi, ha ragione, non potevi dimostrare che era suo e poi non sei neanche minorenne. 
Ed allora questo sbaglio è stato proprio tutto tuo: noi non siamo perseguibili per legge. 

E così ti sei trovata come a un tavolo di marmo, desiderando quasi di morire, 
presa come un animale macellato stavi urlando, ma quasi l'urlo non sapeva uscire. 
E così ti sei trovata fra paure e fra rimorsi davvero sola fra le mani altrui 
e pensavi nel sentire nella carne tua quei morsi di tuo padre, di tua madre e anche di lui. 

Ma che piccola storia ignobile sei venuta a raccontarmi, non vedo proprio cosa posso fare. 
Dirti qualche frase usata per provare a consolarti, o dirti: "è fatta ormai, non ci pensare" 
è una cosa che non serve a una canzone di successo, non vale due colonne sul giornale. 
Se tu te la sei voluta cosa vuoi mai farci adesso, e i politici han ben altro a cui pensare. 

02 Canzone di notte n. 2 (04.59

E un'altra volta è notte e suono, non so nemmeno io per che motivo, forse perché son vivo. 
E voglio in questo modo dire "sono!", o forse perché è un modo pure questo per non andare a letto 
o forse perché ancora c'è da bere, e mi riempio il bicchiere. E l'eco si è smorzato appena 
delle risate fatte con gli amici, dei brindisi felici in cui ciascuno chiude la sua pena, 
in cui ciascuno non è come adesso da solo con se stesso 
a dir "Dove ho mancato, dove è stato?", a dir "Dove ho sbagliato?" 

Eppure fa piacere a sera, andarsene per strade ed osterie, vino e malinconie, 
e due canzoni fatte alla leggera in cui gridando celi il desiderio che sian presi sul serio 
il fatto che sei triste o che t'annoi, e tutti i dubbi tuoi. 
Ma i moralisti han chiuso i bar, e le morali han chiuso i vostri cuori e spento i vostri ardori. 
È bello, ritornar normalità, è facile tornare con le tante stanche pecore bianche. 
Scusate, non mi lego a questa schiera: morrò pecora nera. 

Saranno cose già sentite, o scritte sopra un metro un po' stantio, ma intanto questo è mio. 
E poi, voi queste cose non le dite, poi, certo, per chi non è abituato pensare è sconsigliato, 
poi è bene essere un poco diffidente per chi è un po' differente. 
Ma adesso avete voi il potere; adesso avete voi supremazia, diritto e Polizia, 
gli dei, i comandamenti ed il dovere, purtroppo non so come siete in tanti, e molti qui davanti 
ignorano quel tarlo mai sincero che chiamano "pensiero". 

Però non siate preoccupati: noi siamo gente che finisce male: galera od ospedale. 
Gli anarchici li han sempre bastonati, e il libertario è sempre controllato dal clero, dallo Stato. 
Non scampa, fra chi veste da parata, chi veste una risata. 
O forse non è qui il problema e ognuno vive dentro ai suoi egoismi vestiti di sofismi, 
e ognuno costruisce il suo sistema di piccoli rancori irrazionali, di cosmi personali 
scordando che poi infine tutti avremo due metri di terreno. 
E un'altra volta è notte e suono, non so nemmeno io per che motivo, forse perché son vivo, 
o forse per sentirmi meno solo, o forse perché è notte e vivo strani fantasmi e sogni vani 
che danno quell'ipocondria ben nota. Poi... la bottiglia è vuota 

03 L'avvelenata (04.41

Ma se io avessi previsto tutto questo, dati causa e pretesto, le attuali conclusioni, 
credete che per questi quattro soldi, questa gloria da stronzi, avrei scritto canzoni? 
Vabbè, lo ammetto che mi son sbagliato e accetto il Crucifige e così sia. 
Chiedo tempo, son della razza mia, per quanto grande sia, il primo che ha studiato. 
Mio padre in fondo aveva anche ragione a dir che la pensione è davvero importante. 
Mia madre non aveva poi sbagliato a dir che un laureato conta più di un cantante. 
Giovane ingenuo, io ho perso la testa, sian stati i libri o il mio provincialismo, 
e un cazzo in culo e accuse di arrivismo, dubbi di qualunquismo son quello che mi resta. 

Voi critici, voi personaggi austeri, militanti severi chiedo scusa a Vossia. 
Però non ho mai detto che a canzoni si fan rivoluzioni, si possa far poesia. 
Io canto quando posso, come posso, quando ne ho voglia, senza applausi o fischi, 
vendere o no non passa fra i miei rischi: non comprate i miei dischi e sputatemi addosso. 
Secondo voi ma a me cosa mi frega di assumermi la bega di star quassù a cantare? 
Godo molto di più nell'ubriacarmi oppure a masturbarmi o, al limite, a scopare. 
Se son d'umore nero allora scrivo frugando dentro alle nostre miserie; 
di solito ho da far cose più serie: costruir su macerie o mantenermi vivo. 

Io tutti, io niente, io stronzo, io ubriacone, io poeta, io buffone, io anarchico, io fascista, 
io ricco, io senza soldi, io radicale, io diverso ed io uguale, negro, ebreo, comunista! 
Io frocio, io perché canto so imbarcare, io falso, io vero, io genio, io cretino, 
io solo qui alle quattro del mattino, l'angoscia e un po' di vino, voglia di bestemmiare. 
Secondo voi ma chi me lo fa fare di stare ad ascoltare chiunque ha un tiramento. 
Ovvio, il medico dice: "sei depresso": nemmeno dentro al cesso possiedo un mio momento. 
Ed io che ho sempre detto che era un gioco sapere usare o no d'un certo metro, 
compagni, il gioco si fa peso e tetro: comprate il mio didietro, io lo vendo per poco. 

Colleghi cantautori, eletta schiera che si vende alla sera per un po' di milioni: 
voi che siete capaci fate bene aver le tasche piene e non solo i coglioni. 
Che cosa posso dirvi? Andate e fate. Tanto ci sarà sempre, lo sapete, 
un musico fallito, un pio, un teorete, un Bertoncelli o un prete a sparare cazzate. 
Ma se io avessi previsto tutto questo, dati causa e pretesto, forse farei lo stesso. 
Mi piace far canzoni e bere vino, mi piace far casino e poi sono nato fesso. 
E quindi tiro avanti e non mi svesto dei panni che son solito portare. 
Ho tante cose ancora da raccontare, per chi vuole ascoltare, e a culo tutto il resto! 

04 Via Paolo Fabbri 43 (08.15

Fra krapfen e boiate le ore strane son volate, 
grasso l'autobus m'insegue lungo il viale. 
E l'alba è un pugno in faccia verso cui tendo le braccia, 
scoppia il mondo fuori porta San Vitale.E in via Petroni si svegliano, preparano libri e caffè, 
e io danzo con Snoopy e con Linus un tango argentino col caschè. 

Se fossi più gatto, se fossi un po' più vagabondo, 
vedrei in questo sole, vedrei dentro l'alba e nel mondo, 
ma c'è da sporcarsi il vestito e c'è da sgualcire il gilè, 
che mamma mi trovi pulito qui all'alba in via Fabbri 43! 

I genii musicali preannunciati dai giornali hanno officiato 
e i sacri versi hanno cantati, 
le elettriche impazziscono, sogni e malattie guariscono, 
son poeti, santi, taumaturghi e vati. 
Con gioia e tremore li seguo dal fondo della mia città, 
poi chiusa la soglia do sfogo alla mia turpe voglia: ascolto Bach! 

Se solo affrontassi la mia vita come la morte 
avrei clown, giannizzeri, nani a stupir la tua corte, 
ma voci imperiose mi chiamano e devo tornare perché 
ho un posto da vecchio giullare qui in via Paolo Fabbri 43. 

Gli arguti intellettuali trancian pezzi e manuali, 
poi stremati fanno cure di cinismo, 
son pallidi nei visi e hanno deboli sorrisi 
solo se si parla di strutturalismo. 
In fondo mi sono simpatici, 
da quando ho incontrato Descartes, 
ma pensa se le canzonette me le recensisse Ronald Barthes. 

Se fossi accademico, fossi maestro o dottore 
ti insignirei in toga di 15 lauree ad honorem, 
ma a scuola ero scarso in latino 
e il pop non è fatto per me, 
ti diplomerò in canti e in vino qui in via Paolo Fabbri 43. 

Jorge Luis Borges mi ha promesso l'altra notte 
di parlar personalmente col persiano, 
ma il cielo dei poeti è un po' affollato in questi tempi, 
forse avrò un posto da usciere o da scrivano. 
Dovrò lucidare i suoi specchi, 
trascriver quartine a Kayyam, 
ma un lauro, (da genio minore) per me, sul suo onore, non mancherà. 

Se avessi coraggio, se aprissi del tutto le porte, 
farei fuochi greci e girandole per la tua fronte, 
ma sai cos'io pensi del tempo, e lui cosa pensa di me: 
sii saggia come io son contento qui in via Paolo Fabbri 43. 

La piccola infelice si è incontrata con Alice 
ad un summit per il canto popolare. 
Marinella non c'era, fa la vita in balera, 
ed ha altro per la testa a cui pensare. 
Ma i miei ubriachi non cambiano, 
soltanto ora bevon di più, 
e il frate non certo la smette per fare lo speaker in TV. 

Se fossi poeta, se fossi più bravo e più bello 
avrei nastri e gale francesi per il tuo cappello, 
ma anche i miei eroi sono poveri, 
si chiedono troppi perché, 
già sbronzi al mattino mi svegliano urlando in via Fabbri 43. 

Gli eroi su Kawasaki coi maglioni colorati 
van scialando sulle strade bionde e fretta. 
Personalmente austero vesto in blu perché odio il nero 
e ho paura anche di andare in bicicletta. 
Scartato alla leva del jet-set, 
non piango, ma compro le Clark, 
se devo emigrare in America come mio nonno prendo il tram. 

Se tutto mi uscisse, se aprissi del tutto i cancelli 
farei con parole ghirlande da ornarti i capelli! 
Ma madri e morali mi chiudono, ritorno a giocare da me, 
do un party, con gatti e poeti, qui all'alba in via Fabbri 43 

05 Canzone quasi d'amore (04.13

Non starò più a cercare parole che non trovo 
per dirti cose vecchie con il vestito nuovo, 
per raccontarti il vuoto che, al solito, ho di dentro 
e partorire il topo vivendo sui ricordi, 
giocando coi miei giorni, col tempo. 

O forse vuoi che dica che ho i capelli più corti, 
o che per le mie navi son quasi chiusi i porti, 
io parlo sempre tanto ma non ho ancora fedi, 
non voglio menar vanto di me o della mia vita, 
costretta come dita dei piedi. 

Queste cose le sai, perché siam tutti uguali, 
e moriamo ogni giorno dei medesimi mali, 
perché siam tutti soli ed è nostro destino 
tentare goffi voli d'azione o di parola, 
volando come vola il tacchino. 

Non posso farci niente e tu puoi fare meno, 
sono vecchio d'orgoglio, mi commuove il tuo seno, 
e di questa parola io quasi mi vergogno 
ma c'è una vita sola: non ne sprechiamo niente 
in tributi alla gente o al sogno. 

Le sere sono uguali ma ogni sera è diversa 
e quasi non ti accorgi dell'energia dispersa 
a ricercare i visi che ti han dimenticato 
vestendo abiti lisi buoni ad ogni evenienza, 
inseguendo la scienza o il peccato. 

Tutto questo lo sai e sai dove comincia la grazia 
o il tedio a morte del vivere in provincia, 
perché siam tutti uguali: siamo cattivi, buoni, 
e abbiam gli stessi mali: siamo vigliacchi e fieri, 
saggi, falsi, sinceri... Coglioni. 

Ma dove te ne andrai? Ma dove sei già andata? 
Ti dono, se vorrai, questa noia già usata: 
tienila in mia memoria, ma non è un capitale, 
ti accorgerai da sola, nemmeno dopo tanto, 
che la noia di un altro, non vale. 

D'altra parte, lo vedi: scrivo ancora canzoni 
e pago la mia casa, pago le mie illusioni, 
fingo d'aver capito che vivere è incontrarsi, 
aver sonno, appetito, far dei figli, mangiare, 
bere, leggere, amare, grattarsi. 

06 Il pensionato (04.26

Lo sento da oltre il muro che ogni suono fa passare, l'odore quasi povero di roba da mangiare. 
Lo vedo nella luce che anch'io mi ricordo bene di lampadina fioca, quella da trenta candele, 
fra mobili che non hanno mai visto altri splendori, giornali vecchi ed angoli di polvere e di odori, 
fra i suoni usati e strani dei suoi riti quotidiani: mangiare, sgomberare, poi lavare piatti e mani. 

Lo sento quando torno stanco e tardi alla mattina, aprire la persiana, tirare la tendina, 
e mentre sto fumando ancora un'altra sigaretta andar piano, in pantofole, verso il giorno che lo aspetta 
e poi lo incontro ancora quando viene l'ora mia, mi dà un piacere assurdo la sua antica cortesia: 
"Buon giorno, Professore. Come sta la sua signora? E i gatti, e questo tempo che non si rimette ancora..." 

Mi dice cento volte fra la rete dei giardini di una sua gatta morta, di una lite coi vicini, 
e mi racconta piano, col suo tono un po' sommesso di quando lui e Bologna eran più giovani di adesso. 
Io ascolto, e i miei pensieri corron dietro alla sua vita, a tutti i volti visti dalla lampadina antica, 
a quell'odore solito di polvere e di muffa, a tutte le minestre riscaldate sulla stufa, 
a quel tic-tac di sveglia che enfatizza ogni secondo, a come da quel posto si può mai vedere il mondo, 
a un'esistenza andata in tanti giorni uguali e duri, a come anche la storia sia passata fra quei muri. 

Io ascolto e non capisco, e tutto attorno mi stupisce la vita, com'è fatta e come uno la gestisce, 
e i mille modi e i tempi, poi le possibilità, le scelte, i cambiamenti, il fato, le necessità, 
e ancora mi domando se sia stato mai felice, se un dubbio l'ebbe mai, se solo ora si assopisce, 
se un dubbio l'abbia avuto poche volte oppure spesso, se è stato sufficiente sopravvivere a se stesso. 

Ma poi mi accorgo che probabilmente è solo un tarlo di uno che ha tanto tempo ed anche il lusso di sprecarlo: 
non posso o non so dir per niente se peggiore sia a conti fatti la sua solitudine o la mia. 
Diremo forse un giorno: "Ma se stava così bene..." Avrà il marmo con l'angelo che spezza le catene, 
coi soldi risparmiati un po' perchè non si sa mai, un po' per abitudine: son sempre pronti i guai. 
Vedremo visi nuovi, voci dai sorrisi spenti: "Piacere", "È mio", "Son lieto", "Eravate suoi parenti?" 
e a poco a poco andrà via dalla nostra mente piena, soltanto un'impressione che ricorderemo appena. 

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Via Paolo Fabbri 43, oltre ad essere il titolo di una canzone e dell'album, è l'indirizzo di quella che all'epoca in cui il disco fu pubblicato era l'abitazione di Guccini. La via è intitolata all'antifascista e partigiano Paolo Fabbri. Il cantautore trascorre ancora parte del suo tempo nella casa bolognese, sebbene usi ritirarsi sempre più frequentemente nell'altra abitazione che ha a Pàvana, presso Sambuca Pistoiese.

L'album è presente nella classifica dei 100 dischi italiani più belli di sempre secondo Rolling Stone Italia alla posizione numero 29.


Le canzoni

01 Piccola storia ignobile

«Piccola storia ignobile è una canzone sull'aborto. Era tanto che ci pensavo, avevo timore di dire cose non giuste, e non ho inventato allora un tema ed una storia, ma ho messo assieme tante storie che mi hanno raccontato cercando di ricavarne una storia tipica, esemplare.»

Le discussioni sull'aborto sul finire degli anni settanta si fecero sempre più intense, anche grazie all'interessamento del Partito Radicale che propose forti cambiamenti alla  legislazione di allora  . Per questo non sorprende che Guccini decise di scrivere una canzone al riguardo. 


02 Canzone di notte n. 2

In questa canzone Guccini, nel "vestire una risata" si oppone ad ogni forma di potere che scelga di imporsi con la violenza e il ricatto morale. Dalle parole dell'autore: «Una canzone notturna, cioè pensata di notte e che contiene, mi accorgo, molti miei tic notturni, come il vino e gli amici. Questo non è un luogo comune, ma un tipo di ambiente e di vita, e soprattutto una certa Bologna.»


03 L'avvelenata



04 Via Paolo Fabbri 43

Via Paolo Fabbri 43, a Bologna
È una canzone che ci mostra un Guccini in presa diretta, senza il filtro della memoria, o del racconto di storie altrui, con un tono fortemente caustico e divertito. Sulla canzone dice «un gioco, una risata, una presa in giro, una canzone piena di cose e di scherzi, e l'ironia è soprattutto su di me, sui miei "se fossi, se facessi" che a volte forse sono solo scuse per non essere e non fare. La canzone vuole essere un invito a essere di più e a fare di più.»


05 Canzone quasi d'amore

Anche questa è per così dire un'invettiva: Guccini rivendica infatti nella canzone il diritto di non dover "cercare parole che non trovo", rivendica la scelta di non dover dire "cose vecchie con il vestito nuovo", non nasconde di saper raccontare solo "il vuoto che al solito ho di dentro". Nelle note di introduzione al disco dice: «non è una canzone d'amore, è un cercare di prendere coscienza del fare una canzone, del come e perché si usano certi temi ricorrenti piuttosto che altri, del come e perché si usano certe parole invece 
che altre».


06 Il pensionato

«Il pensionato è uno dei miei soliti ritratti di diversi, di emarginati perché ultimi residui di una cultura che sta scomparendo.»

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La critica al cantautorato italiano

Nella canzone Via Paolo Fabbri 43 è contenuta anche una frecciata polemica verso alcuni colleghi - in particolare Antonello Venditti, Francesco De Gregori, Fabrizio De André - attraverso la citazione del nome dei personaggi femminili di loro canzoni: Lilly (la piccola infelice), Alice e Marinella:

«La piccola infelice [Lilly] si è incontrata con Alice
ad un summit per il canto popolare.
Marinella non c'era, fa la vita in balera,
ed ha altro per la testa a cui pensare».

Molti anni dopo, quando De André era già scomparso, in un'intervista Guccini preciserà: 

«Quella su Fabrizio era una battuta amabile, e lui lo sapeva. Nulla di serio. Sulle altre due frecciatine, la cattiveria era, come dire, molto più sentita».

Ma non è certo l'unica attenzione che Guccini dedica nell'album ai suoi colleghi. Ne L'Avvelenata scrive:

«Colleghi cantautori, eletta schiera,
che si vende alla sera, per un po' di milioni,
voi che siete capaci, fate bene
a aver le tasche piene, e non solo i coglioni».

E poi, nel 2000, replicherà in Addio:

«Io, non artista, solo piccolo baccelliere,
perché, per colpa d'altri, vada come vada,
a volte mi vergogno di fare il mio mestiere».

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