segunda-feira, 14 de setembro de 2015

20150914 Francesco Guccini Radici 1972

Francesco Guccini
Radici
1972

Radici è il quarto album di Francesco Guccini, che è autore di tutti i testi e le musiche.
L'album si caratterizza per la cura rivolta alla parte musicale, lontanamente influenzata dalle tendenze progressive tipiche del periodo.





01 Radici (07.12
02 La locomotiva (08.18
03 Piccola città (04.38
04 Incontro (03.38
05 Canzone dei dodici mesi (07.04
06 Canzone della bambina portoghese (05.34
07 Il vecchio e il bambino (04.20







Formazione:
Francesco Guccini: voce, chitarra
Ellade Bandini: batteria
Deborah Kooperman: flauto, chitarra, banjo
Ares Tavolazzi: basso
Vince Tempera: tastiera
Maurizio Vandelli: mellotron, moog
Gigi Rizzi: chitarra elettrica
Fonte: Wikipedia.


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01 Radici (07.12

La casa sul confine della sera, 
oscura e silenziosa se ne sta 
respiri un'aria limpida e leggera 
e senti voci forse d'altra età 

La casa sul confine dei ricordi 
la stessa sempre come tu la sai 
e tu ricerchi là le tue radici 
se vuoi capire l'anima che hai 

Quanti tempi e quante vite sono scivolate via da te 
come il fiume che ti passa attorno: 
tu che hai visto nascere e morire gli antenati miei 
lentamente giorno dopo giorno 

Ed io l'ultimo ti chiedo se conosci in me 
qualche segno qualche traccia di ogni vita 
o se solamente io ricerco in te, 
risposta ad ogni cosa non capita. 

Ma è inutile cercare la parole 
la pietra antica non emette suono 
o parla come il mondo come il sole 
parole troppo grandi per un uomo 

E te li senti dentro quei legami 
i riti antichi e i miti del passato 
e te li senti dentro come mani 
ma non comprendi più il significato 

Ma che senso esiste in ciò che è nato dentro ai muri tuoi 
tutto è morto e nessuno ha mai saputo 
o solamente non ha senso chiedersi 
io più mi chiedo e meno ho conosciuto 

Ed io l'ultimo ti chiedo se così sarà per un altro dopo che vorrà capire 
e se l'altro dopo qui troverà 
il solito silenzio senza fine 

La casa è come un punto di memoria 
le tue radici danno la saggezza 
e forse è proprio questa la risposta 
e provi un grande senso di dolcezza. 

02 La locomotiva (08.17

Non so che viso avesse, neppure come si chiamava, 
con che voce parlasse, con quale voce poi cantava, 
quanti anni avesse visto allora, di che colore i suoi capelli, 
ma nella fantasia ho l'immagine sua: gli eroi sono tutti giovani e belli. 

Conosco invece l'epoca dei fatti, qual era il suo mestiere: 
i primi anni del secolo, macchinista, ferroviere. 
I tempi in cui si cominciava la guerra santa dei pezzenti: 
sembrava il treno anch'esso un mito di progresso, lanciato sopra i continenti. 

E la locomotiva sembrava fosse un mostro strano, 
che l'uomo dominava con il pensiero e con la mano: 
ruggendo si lasciava indietro distanze che sembravano infinite, 
sembrava avesse dentro un potere tremendo, la stessa forza della dinamite. 

Ma un'altra grande forza spiegava allora le sue ali: 
parole che dicevano "gli uomini sono tutti uguali", 
e contro ai re e ai tiranni scoppiava nella via 
la bomba proletaria, e illuminava l'aria la fiaccola dell'anarchia. 

Un treno tutti i giorni passava per la sua stazione: 
un treno di lusso, lontana destinazione. 
Vedeva gente riverita, pensava a quei velluti, agli ori, 
pensava al magro giorno della sua gente attorno, pensava un treno pieno di signori. 

Non so che cosa accadde, perché prese la decisione. 
Forse una rabbia antica, generazioni senza nome 
che urlarono vendetta, gli accecarono il cuore, 
dimenticò pietà, scordò la sua bontà, la bomba sua la macchina a vapore. 

E sul binario stava la locomotiva: 
la macchina pulsante sembrava fosse cosa viva, 
sembrava un giovane puledro che appena liberato il freno 
mordesse la rotaia con muscoli d'acciaio, con forza cieca di baleno. 

E un giorno come gli altri, ma forse con più rabbia in corpo, 
pensò che aveva il modo di riparare a qualche torto: 
salì sul mostro che dormiva, cercò di mandar via la sua paura, 
e prima di pensare a quel che stava a fare, il mostro divorava la pianura. 

Correva l'altro treno ignaro, quasi senza fretta: 
nessuno immaginava di andare verso la vendetta. 
Ma alla stazione di Bologna arrivò la notizia in un baleno: 
"Notizia di emergenza, agite con urgenza, un pazzo si è lanciato contro il treno!" 

Ma intanto corre, corre, corre la locomotiva, 
e sibila il vapore, sembra quasi cosa viva, 
e sembra dire ai contadini curvi, il fischio che si spande in aria: 
"Fratello non temere, ché corro al mio dovere! Trionfi la giustizia proletaria!" 

E intanto corre corre corre sempre più forte, 
e corre, corre, corre, corre verso la morte, 
e niente ormai può trattenere l'immensa forza distruttrice, 
aspetta sol lo schianto e poi che giunga il manto della grande consolatrice. 

La storia ci racconta come finì la corsa: 
la macchina deviata lungo una linea morta. 
Con l'ultimo suo grido d'animale la macchina eruttò lapilli e lava, 
esplose contro il cielo, poi il fumo sparse il velo, lo raccolsero che ancora respirava. 

Ma a noi piace pensarlo ancora dietro al motore, 
mentre fa correr via la macchina a vapore, 
e che ci giunga un giorno ancora la notizia 
di una locomotiva come una cosa viva, lanciata a bomba contro l'ingiustizia! 

03 Piccola città (04.38

Piccola città, bastardo posto, appena nato ti compresi, 
o fu il fato che in tre mesi mi spinse via? 
Piccola città, io ti conosco nebbia e fumo, non so darvi 
il profumo del ricordo che cambia in meglio; 
ma sono qui nei pensieri le strade di ieri, e tornano 
visi e dolori e stagioni, amori e mattoni che parlano. 

Piccola città, io poi rividi le tue pietre sconosciute, 
le tue case diroccate da guerra antica; 
mia nemica strana, sei lontana coi peccati, fra macerie 
e fra giochi consumati dentro al Florida; 
cento finestre, un cortile, le voci, le liti e la miseria: 
io, la montagna nel cuore, scoprivo l'odore del dopoguerra. 

Piccola città, vetrate viola, primi giorni della scuola, 
la parola e il mesto odore di religione; 
vecchie suore nere, con che fede in quelle sere avete dato 
a noi il senso di peccato e di espiazione! 
Gli occhi guardavano voi ma sognavan gli eroi, le armi e la bilia; 
correva la fantasia verso la prateria, fra la Via Emilia e il West. 

Sciocca adolescenza, falsa e stupida innocenza, continenza, 
vuoto mito americano di terza mano; 
pubertà infelice, spesso urlata a mezza voce, a toni acuti, 
casti affetti denigrati, cercati invano; 
se penso a un giorno o a un momento ritrovo soltanto malinconia; 
è tutto un incubo scuro, un periodo di buio gettato via. 

Piccola città, vecchia bambina, che mi fu tanto fedele, 
a cui fui tanto fedele, tre lunghi mesi; 
angoli di strada, testimoni degli erotici miei sogni, 
frustrazioni e amori a vuoto, mai compresi. 
Dove sei ora, che fai? Neghi ancora o ti dài, sabato sera? 
Quelle di adesso disprezzi o invidi e singhiozzi se passano davanti a te? 

Piccola città, vecchi cortili, sogni e di primaverili, rime e fedi giovanili, 
bimbe ora vecchie; piango e non rimpiango la tua polvere e il tuo fango, 
le tue vite, le tue pietre, l'oro e il marmo, le catapecchie; 
così diversa sei adesso, io son sempre lo stesso, sempre diverso: 
cerco le notti ed il fiasco, se muoio rinasco, finché non finirà. 

04 Incontro (03.38

E correndo mi incontrò lungo le scale 
quasi nulla mi sembrò cambiato in lei 
la tristezza poi ci avvolse come miele 
per il tempo scivolato su noi due. 
Il sole che calava già 
rosseggiava la città 
già nostra ed ora straniera 
incredibile e fredda; 
come un istante "deja vu" 
ombra della gioventù 
ci circondava la nebbia. 

Auto ferme ci guardavano in silenzio 
vecchi muri proponevan nuovi eroi 
dieci anni da narrare l'uno all'altro 
ma le frasi rimanevan dentro in noi 
"cosa fai ora, ti ricordi, 
eran belli i nostri tempi, 
ti ho scritto è un anno, 
mi han detto che eri ancor via". 
E poi la cena a casa sua, 
la mia nuova cortesia, 
stoviglie color nostalgia. 

E le frasi quasi fossimo due vecchi 
rincorrevan solo il tempo dentro in noi 
per la prima volta vidi quegli specchi 
capii i quadri, i soprammobili ed i suoi. 
I nostri miti morti ormai, 
la scoperta di Hemingway 
il sentirsi nuovi 
le cose sognate e poi viste 
la mia America e la sua 
diventate nella via 
la nostra città tanto triste. 

Carte e vento volan via nella stazione 
freddo e luci accese forse per noi lì 
ed infine in breve la sua situazione 
uguale quasi a tanti nostri film: 
come in un libro scritto male 
lui si era ucciso per Natale 
ma il triste racconto sembrava 
assorbito dal buoi 
povera amica che narravi 
dieci anni in poche frasi 
e io i miei in un solo saluto. 

E pensavo dondolato dal vagone 
"Cara amica il tempo prende il tempo dà 
noi corriamo sempre in una direzione 
ma qual sia e che senso abbia chi lo sa 
restano i sogni senza tempo 
le impressioni di un momento 
le luci nel buio 
di case intraviste da un treno 
siamo qualcosa che non resta 
frasi vuote nella testa 
e il cuore di simboli pieno." 

05 Canzone dei dodici mesi (07.04

Viene Gennaio silenzioso e lieve 
un fiume addormentato 
fra le cui rive giace come neve 
il mio corpo malato 
il mio corpo malato 

Sono distese lungo la pianura 
bianche file di campi 
son come amanti dopo l'avventura 
neri alberi stanchi 
neri alberi stanchi 

Viene Febbraio, e il mondo è a capo chino 
ma nei convitti e in piazza 
lascia i dolori e vesti da Arlecchino 
il carnevale impazza 
il carnevale impazza 

L'inverno è lungo ancora, ma nel cuore 
appare la speranza 
nei primi giorni di malato sole 
la primavera danza 
la primavera danza 

Cantando Marzo porta le sue piogge 
la nebbia squarcia il velo 
porta la neve sciolta nelle rogge 
il riso del disgelo 
il riso del disgelo 

Riempi il bicchiere, e con l'inverno butta 
la penitenza vana 
l'ala del tempo batte troppo in fretta 
la guardi, è già lontana 
la guardi, è già lontana 

O giorni, o mesi, che 
andate sempre via; 
sempre simile a voi 
è questa vita mia; 
diverso tutti gli anni 
e tutti gli anni uguale, 
la mano di tarocchi 
che non sai mai giocare. 

Con giorni lunghi al sonno dedicati 
il dolce Aprile viene 
quali segreti scoprì in te il poeta 
che ti chiamò crudele 
che ti chiamò crudele 

Ma nei tuoi giorni è bello addormentarsi 
dopo fatto l'amore 
come la terra dorme nella notte 
dopo un giorno di sole 
dopo un giorno di sole 

Ben venga Maggio e il gonfalone amico 
ben venga primavera 
il nuovo amore getti via l'antico 
nell'ombra della sera 
nell'ombra della sera 

ben venga Maggio, ben venga la rosa 
che è dei poeti il fiore 
mentre la canto con la mia chitarra 
brindo a Cenne e a Folgòre 
brindo a Cenne e a Folgòre 

Giugno, che sei maturità dell'anno 
di te ringrazio Dio 
in un tuo giorno, sotto al sole caldo 
ci sono nato io 
ci sono nato io; 

E con le messi che hai fra le tue mani 
ci porti il tuo tesoro 
con le tue spighe doni all'uomo il pane 
alle femmine l'oro 
alle femmine l'oro 

O giorni, o mesi, che 
andate sempre via; 
sempre simile a voi 
è questa vita mia; 
diverso tutti gli anni 
e tutti gli anni uguale, 
la mano di tarocchi 
che non sai mai giocare. 

Con giorni lunghi di colori chiari 
ecco Luglio il leone 
riposa e bevi, e il mondo attorno appare 
come in una visione 
come in una visione 

Non si lavora Agosto, nelle stanche 
tue lunghe oziose ore 
mai come adesso è bello inebriarsi 
di vino e di calore 
di vino e di calore 

Settembre è il mese del ripensamento 
sugli anni e sull'età 
dopo l'estate porta il dono usato 
della perplessità 
della perplessità 

Ti siedi e pensi e ricominci il gioco 
della tua identità 
come scintille brucian nel tuo fuoco 
le possibilità 
le possibilità 

Non so se tutti hanno capito Ottobre 
la tua grande bellezza 
nei tini grassi come pance piene 
prepari mosto e ebbrezza 
prepari mosto e ebbrezza 

Lungo i miei monti, come uccelli tristi 
fuggono nubi pazze 
lungo i miei monti, colorati in rame 
fumano nubi basse 
fumano nubi basse 

O giorni, o mesi, che 
andate sempre via; 
sempre simile a voi 
è questa vita mia; 
diverso tutti gli anni 
e tutti gli anni uguale, 
la mano di tarocchi 
che non sai mai giocare. 

Cala Novembre, e le inquietanti nebbie 
gravi coprono gli orti 
lungo i giardini consacrati al pianto 
si festeggiano i morti 
si festeggiano i morti 

Cade la pioggia, ed il tuo viso bagna 
di gocce di rugiada 
te pure, un giorno, cambierà la sorte 
in fango della strada 
in fango della strada 

E mi addormento come in un letargo 
Dicembre, alle tue porte 
lungo i tuoi giorni con la mente spargo 
tristi semi di morte 
tristi semi di morte 

Uomini e cose lasciano per terra 
esili ombre pigre 
ma nei tuoi giorni, dai profeti detti 
nasce Cristo la tigre 
nasce Cristo la tigre 

O giorni, o mesi, che 
andate sempre via; 
sempre simile a voi 
è questa vita mia; 
diverso tutti gli anni 
e tutti gli anni uguale, 
la mano di tarocchi 
che non sai mai giocare. 

06 Canzone della bambina portoghese (05.34

E poi e poi, gente viene qui e ti dice 
Di sapere già ogni legge delle cose 
E tutti, sai, vantano un orgoglio cieco 
di verità fatte di formule vuote 
E tutti, sai, ti san dire come fare, 
Quali leggi rispettare, quali regole osservare, 
Qual è il vero vero, 
E poi, e poi, tutti chiusi in tante celle, 
Fanno a chi parla più forte 
Per non dir che stelle e morte fan paura. 

Al caldo del sole, al mare scendeva la bambina portoghese 
Non c'eran parole, rumori soltanto come voci sospese. 
Il mare soltanto, e il suo primo bikini amaranto, 
Le cose più belle e la gioia del caldo alla pelle. 

Gli amici vicino sembravan sommersi dalla voce del mare; 
O sogni o visioni qualcosa la prese e si mise a pensare; 
Sentì che era un punto al limite di un continente, 
Sentì che era un niente, l'Atlantico immenso di fronte. 

E in questo sentiva qualcosa di grande 
Che non riusciva a capire, che non poteva intuire; 
Che avrebbe spiegato, se avesse capito lei, e l'oceano infinito; 
Ma il caldo l'avvolse, si sentì svanire e si mise a dormire. 
E fu solo del sole, come di mani future. 
Restaron soltanto il mare e un bikini amaranto. 

E poi e poi, se ti scopri a ricordare, 
Ti accorgerai che non te ne importa niente. 
E capirai che una sera o una stagione 
Son come lampi, luci accesee dopo spente. 
E capirai che la vera ambiguità 
è la vita che viviamo, il qualcosa che chiamiamo esser uomini, 
E poi, e poi, che quel vizio che ci ucciderà 
Non sarà fumare o bere, ma il qualcosa che ti porti dentro, 
cioè vivere, vivere e poi vivere 

07 Il vecchio e il bambino (04.20

Un vecchio e un bambino si preser per mano 
E andarono insieme incontro alla sera. 
La polvere rossa si alzava lontano 
E tutto brillava di luce non vera. 
L'immensa pianura sembrava arrivare 
Fin dove l'occhio di un uomo poteva guardare, 
E tutto d'intorno non c'era nessuno 
Solo il tetro contorno di torri di fumo. 

I due camminavano, il giorno cadeva 
Il vecchio parlava e piano piangeva. 
Con l'anima assente, con gli occhi bagnati 
Seguiva il ricordo di miti passati. 
I vecchi subiscon le ingiurie degli anni 
Non sanno distinguere il vero dai sogni, 
I vecchi non sanno, nel loro pensiero 
Distinguer nei sogni il falso dal vero. 

E il vecchio diceva, guardando lontano, 
"Immagina questo coperto di grano, 
Immagina i frutti, immagina i fiori 
E pensa alle voci e pensa ai colori. 
E in questa pianura fin dove si perde 
Crescevano gli alberi e tutto era verde, 
Cadeva la pioggia, segnavano i soli 
Il ritmo dell'uomo e delle stagioni." 

Il bimbo ristette, lo sguardo era triste, 
Gli occhi guardavano cose mai viste, 
E poi disse al vecchio con voce sognante 
"Mi piaccion le fiabe, raccontane altre." 

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Note e significato:

01 Radici (07.12

A proposito di “Radici”  mi piace ricordare questo piccolo aneddoto raccontato da Enzo Biagi: 

“Abbiamo delle nonne in comune io e Guccini. Fa piacere avere tra i parenti un tipo come lui. Sembra che non si sia mai allontanato da Pàvana, e racconta storie che hanno come scenario quei paesaggi che hanno accompagnato anche la mia infanzia: col cuore e le parole dei poeti.” 

02 La locomotiva (08.17

“La Locomotiva”  è sicuramente la canzone più celebre del cantautore emiliano, che la usa da sempre come chiusura dei propri concerti. La canzone è ispirata a una storia vera, della quale Guccini è venuto a conoscenza grazie a un vicino di casa: 

Tratto da “Il Disastro di ieri alla Ferrovia - l'Aberrazione di un Macchinista”  articolo de “Il Resto del Carlino”  del 21 luglio 1893. 

Poco prima delle 5 pomeridiane di ieri, l'Ufficio Telegrafico della stazione riceveva dalla stazione di Poggio Renatico un dispaccio urgentissimo (ore 4,45) annunziante che la locomotiva del treno merci 1343 era in fuga da Poggio verso Bologna. Lo stesso dispaccio era stato comunicato a tutte le stazioni della linea, perché venissero prese le disposizioni opportune per mettere la locomotiva fuggente in binari sgombri dandole libero il passo in modo da evitare urti, scontri o disgrazie. [...] 

Capo stazione, ingegneri e personale del movimento furono sottosopra e chi diede ordini, chi si lanciò lungo la linea verso il bivio incontro alla locomotiva che stava per giungere. Non si sapeva ancora se la macchina in fuga era scortata da qualcuno del personale; e solo i telegrammi successivi delle stazioni di San Pietro in Casale e Castelmaggiore, che annunziavano il fulmineo passaggio della locomotiva, potevano constatare che su di essi stava un macchinista e un fuochista. Ma la corsa continuava e la preoccupazione alla ferrovia cresceva... [...] 

Alle 5,10 [la locomotiva] entrava dal bivio e passava davanti allo scalo, fischiando disperatamente, con una velocità superiore ai 50 km. Sulla macchina c'era un uomo che, invece di dare il freno, cercare di fermare, metteva carbone... Era un uomo che correva, che voleva correre alla morte! Il personale lungo la linea agitando le braccia, gridando, gli faceva cenno di fermare, di dare il freno; taluno gli urlò di gettarsi a terra, ma egli rimaneva imperterrito nella locomotiva. Un esperto macchinista, il Mazzoni, che era lungo la linea e lo vedeva correre incontro a morte sicura, gli gridò: “Buttati a terra!”  ; ma il giovanotto - che giovane era lo sciagurato - dalla banchina a lato della piazza tubolare della caldaia tenendosi alla maniglia di ottone, si portò sul davanti della locomotiva sotto il fanale di fronte, attaccato sempre alla maniglia e colla schiena verso la stazione dov'era il pericolo. 

La locomotiva andò quindi a sbattere contro la vettura di prima classe ed i sei carri merci che si trovavano in sosta sul binario tronco alla velocità di 50 chilometri orari. Al momento dell'urto egli era sulla fronte della macchina e i presenti che lo videro esterrefatti passare dinanzi a loro affermano che proprio al momento dell'urto egli si sporse in fuori, volgendo la testa verso la vettura, contro alla quale andava a dar di cozzo. 

L'urto, disastroso per la macchina e i carri, fu tremendo per l'uomo. Egli rimase preso fra la macchina e il vagone di prima classe schiacciato orribilmente. Accorsero funzionari delle ferrovie, di P.S., guardie, personale viaggiante e manovali e il disgraziato fu tosto riconosciuto. È certo Pietro Rigosi di Bologna, di anni 28, 
fuochista da parecchi anni e buon impiegato... A Poggio Renatico, mentre il macchinista Rimondini Carlo era sceso un momento, il Rigosi aveva sganciato la locomotiva del treno merci e poi l'aveva lanciata a tutta velocità legando la valvola del fischio, per modo che destò l'allarme per tutta la corsa. Avrebbe potuto pentirsi durante il tragitto e dare il freno (che funzionava bene anche dopo la catastrofe) ma egli non volle. Probabilmente un'improvvisa alterazione di cervello che lo rese crudele contro se stesso, perché, per quanti pensieri di famiglia egli avesse, non giustificavano certo un tentativo di suicidio che poteva costare la vita a molte altre 
persone. 

03 Piccola città (04.38

“Piccola Città”  narra dell'adolescenza di Guccini, trascorsa in buona parte a Modena. Come si può intuire dal testo della canzone, quello di Modena non è stato un periodo molto felice per l'autore. A tal proposito Guccini racconta: 

“Modena è per me l'esilio da Pàvana e l'attesa di Bologna. Modena è 'mia nemica strana', la mia adolescenza, il periodo forse più tragico della mia vita perché nell'immediato dopoguerra le aspettative e le speranze erano tante e le possibilità di realizzarle quasi nulle. Se aggiungiamo che 'Piccola Città' la scrissi in un 
periodo bolognese molto felice, ecco che si capisce il senso della canzone” 

04 Incontro (03.38

Guccini racconta l'episodio alla base di “Incontro”  

 “Incontro parla di un'amica mia che, bontà sua, era innamorata di me. Era anche molto carina, ma aveva poche tette e io ero molto sensibile all'argomento. Oggi guardo altre cose, anche perché sono cambiati i tempi. In quegli anni avere la ragazza senza tette era un handicap mica da ridere. Con questa ragazza rimanemmo comunque amici. 

Diventò professoressa di ginnastica e si sposò con un americano che viveva a Bologna. Per un po' vissero in America, poi si trasferirono a Berlino e fu lì che si innamorò di un altro, un tipo piuttosto instabile, purtroppo. Così, quando a Natale lei raggiunse suo figlio in America, lui fece l'albero e si impiccò. Al suo ritorno 
in Italia la mia amica venne subito a cercarmi per raccontarmi cos'era successo. Andai a trovarla, e dopo quel pomeriggio trascorso insieme scrissi Incontro, forse il mio primo tentativo di scrivere per immagini veloci, molto cinematografiche. [...] Non è vero che ci siamo incontrati con lei che mi correva lungo le scale. Però tutto sommato era carino, sembrava la sequenza di un film di Lelouch al rallentatore...”  

A livello letterario la canzone trae ispirazione da diversi autori: 

“La tristezza poi ci avvolse come miele”  è ispirato a “Suzanne”  di Leonard Cohen (“The sun pours down like honey”); 

“Le stoviglie color nostalgia”  è una doppia citazione di Gozzano. Nella poesia “La più Bella”  , da cui Guccini ha tratto “L'isola non Trovata”  , il poeta definisce l'azzurro il colore della lontananza e quindi della nostalgia. Nella poesia “La Signorina Felicita ovvero la Felicità”  , invece, l'azzurro diventa il colore delle stoviglie ( “E gli occhi fermi, l'iridi sincere / azzurre di un azzurro di stoviglia”); 

“Noi corriamo sempre in una direzione / ma qual sia e che senso abbia chi lo sa”  è tratta da una frase di Edmund Husserl ( “Il tutto infinito scorre infinitamente in una direzione, quale sia noi non lo potremo sapere”). 

05 Canzone dei dodici mesi (07.04

Gonfalone  
E' il vessillo sul quale compare lo stemma di una città o di un paese. I gonfaloni (talvolta anche “confaloni”  ) vennero introdotti nell'età dei Comuni e in seguito adottate anche da corporazioni e compagnie mercantili. 

Cenne e Folgòre
Da i poeti Cenne della Chitarra e Folgóre da San Gimignano. Guccini si rifà alle loro composizioni e ne approfitta per citare i suoi ispiratori. Vedere anche le due note successive. 

Cenne della Chitarra  
Così soprannominato perchè solito accompagnare le sue poesie con questo strumento, era un poeta e giullare italiano vissuto tra il 1260 e il 1340. Il suo componimento più famoso è una parodia della corona dei mesi di Folgòre, dove sottolinea gli aspetti e i momenti negativi dell'anno. 

Folgóre da San Gimignano  
E' stato un poeta italiano, esponente della poesia burlesca, vissuto tra il 1270 e il 1332. Poco si sa della sua biografia: il vero nome era Jacopo di Michele e gli sono stati attribuiti trentadue sonetti, composti presumibilmente tra il 1308 e il 1315, i più famosi dei quali sono le due corone dedicate ai giorni della settimana e ai mesi dell'anno. In quest'ultima, il poeta elenca i lati positivi tipici di ogni stagione. 

Messi  
E' il plurale di messe, un vocabolo probabilmente di origine francese che indica il raccolto del grano, e, per estensione, il grano stesso. 

06 Canzone della bambina portoghese (05.34

Racconta Guccini in un concerto: 

“I punti geografici mi danno turbamento. Qualcosa vogliono dire, qualcosa significano ma noi non lo sappiamo. Perchè a noi è concessa l'Intuizione non la Conoscenza, meno che mai la Verità... Io non amo quelli che girano con la verità in tasca. E questa canzone, fatta di due canzoni, è stata scritta proprio contro chi pensava di avere la verità in tasca, soprattutto quelli che all'epoca chiamavamo ”  compagni “. Loro erano sicuri, io invece avevo dei grandi dubbi. In mezzo [alla canzone vera e propria] c'è un'apparizione, un fantasma, in un punto geografico che è la fine di un mondo e l'inizio di un altro. C'è una ragazzina che qualcosa intuisce ma non riesce a capire. E se ne frega.” 

07 Il vecchio e il bambino (04.20

“Il vecchio e il bambino”  racconta il dialogo tra due generazioni separate da un disastro atomico che ha quasi cancellato la vita dal Pianeta Terra: il vecchio racconta com'era la vita prima dell'evento distruttivo; il bambino ascolta con attenzione credendo però che il racconto, ai suoi occhi troppo bello e fantasioso, sia in realtà un fiaba. 

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