terça-feira, 15 de setembro de 2015

20150915 Francesco Guccini Metropolis 1981

Francesco Guccini
Metropolis
1981




Metropolis (1981) è il decimo album di Francesco Guccini.
Tutte le canzoni sono di Francesco Guccini ad eccezione di Venezia (Biggi - Alloisio) e Milano (Poveri bimbi di) (Guccini - Alloisio).
Venezia e Lager erano già state incise nel 1979 dall'Assemblea Musicale Teatrale, nell'album Il sogno di Alice.
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Arrangiamenti: Ettore De Carolis
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Musicisti:
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Francesco Guccini: voce, chitarra
Giovanni Pezzoli: batteria
Tiziano Barbieri: basso
Paolo Gianolio: chitarra
Jimmy Villotti: chitarra
Juan Carlos Biondini: chitarra
Vince Tempera: tastiera
Fio Zanotti: tastiera
Luciano Stella: tastiera
Gianpiero Lucchini: flauti e altro
Enzo Felicitati: tromba
Giancarlo Ferri: violino
Andy J. Forest: armonica
Deborah Kooperman: banjo

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01 Bisanzio (05.11
02 Venezia (04.02
03 Antenòr (05.16
04 Bologna (04.39
05 Lager (03.45
06 Black-out (03.54
07 Milano (Poveri bimbi di) (04.52

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01 Bisanzio (05.11

Anche questa sera la luna è sorta affogata in un colore troppo rosso e vago. 
Vespero non si vede, si è offuscata, la punta dello stilo si è spezzata. 
Che oroscopo sai trarre questa sera, Mago? 
Io, Filemazio, protomedico matematico astronomo, forse saggio. 
Ridotto come un cieco a brancicare attorno, non ho la conoscenza, 
od il coraggio per fare quest'oroscopo, per divinar responso, 
e resto qui a aspettare che ritorni giorno e devo dire, devo dire 
che sono forse troppo vecchio per capire, 
che ho perso la mia mente in chissà quale abuso, od ozio, 
ma stan mutando gli astri nelle notti d'equinozio. 

O forse io, forse io, ho sottovalutato questo nuovo dio, 
ma vedo in me e nei segni che qualcosa sta cambiando, 
ma è un debole presagio che non dice come e quando. 
Me ne andavo l'altra sera quasi inconsciamente 
giù al porto Bosphoreion, là dove si perde 
la terra dentro al mare fino quasi al niente 
e poi ritorna terra e non è più occidente. 
Che importa a questo mare essere azzurro o verde? 
Sentivo i canti osceni degli avvinazzati, 
di gente dallo sguardo pitturato e vuoto, 
ippodromo, bordello, e nordici soldati... 

Romani e Greci urlate, dove siete andati? 
Sentivo bestemmiare in Alamanno e in Goto... 
Città assurda, città strana, di quest'imperatore sposo di puttana, 
di plebi smisurate, labirinti ed empietà 
di barbari che forse sanno già la verità. 
Di filosofi, e di etere, sospesa tra due mondi, e tra due ere. 
Fortuna e età han deciso per un giorno non lontano, 
poi il fato chiederebbe che scegliesse la mia mano, ma... 

Bisanzio è forse solo un simbolo insondabile, egreto e ambiguo, come questa vita. 
Bisanzio è un mito che non mi è consueto, Bisanzio è un sogno che si fa incompleto. 
Bisanzio forse non è mai esistita, e ancora ignoro, e un'altra notte è andata. 
Lucifero è già sorta, e si alza un po' di vento, c'è freddo sulla torre, o è l'età mia malata, 
confondo vita e morte, non so chi è passata, mi copro col mantello il capo e più non sento, 
e mi addormento, mi addormento, mi addormento. 

02 Venezia (04.02

Venezia che muore, Venezia appoggiata sul mare, 
la dolce ossessione degli ultimi suoi giorni tristi, Venezia la vende ai turisti 
che cercano in mezzo alla gente l'Europa o l'Oriente, 
che guardano alzarsi alla sera il fumo o la rabbia di Porto Marghera. 

Stefania era bella, Stefania non stava mai male, 
ma è morta di parto gridando in un letto sudato di un grande ospedale. 
Aveva vent'anni, un marito, e l'anello nel dito; 
mi han detto confusi i parenti che quasi il respiro inciampava nei denti. 

Venezia è un albergo, San Marco è senz'altro anche il nome di una pizzeria, 
la gondola costa, la gondola è solo un bel giro di giostra. 
Stefania d'estate giocava con me nelle vuote domeniche d'ozio. 
Mia madre parlava, sua madre vendeva Venezia in negozio. 

Venezia è anche un sogno, di quelli che puoi comperare, 
però non ti puoi risvegliare con l'acqua alla gola, e un dolore al livello del mare. 
Il Doge ha cambiato di casa, e per mille finestre c'è solo 
il vagito di un bimbo che è nato, c'è solo la sirena di Mestre. 

Stefania affondando, Stefania ha lasciato qualcosa: 
Novella Duemila e una rosa sul suo comodino, Stefania ha lasciato un bambino. 
Non so se ai parenti gli ha fatto davvero del male, vederla morire ammazzata, 
morire da sola in un grande ospedale. 

Venezia è un imbroglio che riempie la testa soltanto di fatalità, 
del resto del mondo non sai più una sega, Venezia è la gente che se ne frega. 
Stefania è un bambino, comprare o smerciare Venezia sarà il suo destino, 
può darsi che un giorno saremo contenti di esserne solo lontani parenti. 

03 Antenòr (05.16

Si chiamava Antenòr e niente, si chiamava Antenòr e basta 
perché per certa gente non importa grado o casta, 
importa come vivi, ma forse neanche quello, 
importa se sai usare bene il laccio od il coltello. 

Antenòr uscì di casa, uscì di casa quella sera, 
garrivano i suoi pensieri come fossero bandiera, 
ma gli occhi erano fessura, e il viso tirato a brutto, 
come all'età in cui credi d'aver fatto quasi tutto. 

Un cavallo nitrì, ma quando? Una donna rise, ma dove? 
La luna uno scudo bianco, un carro le stanghe in alto, 
chitarra ozio parole, chitarra ozio parole, 
la pampa un ricordo stanco, un mare quell'erba nera, 
può darsi fosse romantico, ma lui non lo sapeva. 
Quella donna rideva ad ore, quella luna solo uno sputo, 
e per quel cavallo non avrebbe speso anche un minuto. 

É difficile far rumore, sulle cose che ci hai ogni giorno: 
le tue braghe, il tuo sudore, e l'odore che porti attorno. 
La cantina era quasi vuota, scarsa d'uomini e d'allegria, 
se straniero l'avresti detta quasi piena di nostalgia, 
nostalgia ma di che cosa, d'un oceano mai guardato, 
d'una Europa mai sentita, d'un linguaggio mai parlato? 
Antenòr chiese da bere, e scambiò qualche saluto; 

calmo e serio danzò tutto il rituale ormai saputo, 
uomo e uguale coi suoi pari, quasi pari con gli anziani, 
come breve quella sera, come lunghi i suoi domani. 
Proprio allora qualcuno entrando nella luce da dentro al buio 
lo insultò appena sussurrando, ma sembrava che stesse urlando, 
come per uno schiaffo, come per uno sputo, 
Antenòr lo guardò sorpreso, lo studiò e non lo conosceva 
e il motivo restò sospeso, fra la gente ferma in attesa, 
e lui non lo sapeva, e lui non lo sapeva. 

Poi sentì di una donna il nome, già scordato o non conosciuto, 
quante volte per altri è vita quello che per noi è un minuto; 
guardò gli uomini per cercare occhi, dialogo, spiegazione, 
ma se non trovò condanne non trovò un'assoluzione. 
Antenòr uscì di fuori bilanciando il suo coltello 
per danzare malvolentieri passi e ritmi del duello: 
una donna non ricordata ed un uomo mai visto prima 
lo legavano tra loro come versi con la rima. 

Fintò basso e scartò di lato, quanti sguardi sentì sul viso, 
si sentì migliore e stanco, si sentì come un sorriso. 
Che serata tutta al contrario, proprio niente da ricordare, 
puntò il ferro contro il viso, vide il sangue zampillare. 

Tutto quanto era stato un lampo: Antenòr respirava forte, 
fece il gesto di offrir la mano, guardò l'altro e capì pian piano 
che tutto era stato invano, che l'altro cercava morte, 
e capì che doveva farlo, farlo in fretta perché non c'era 
un motivo per ammazzarlo. L'altro cadde e non rispondeva, 
e lui non lo sapeva, e lui non lo sapeva. 

Antenòr lo guardò cadere, sentì dire: "La colpa è mia", 
sentì dire: "è stato un uomo", sentì dire: "Fuggi via!" 
La giustizia disse bandito, ma un poeta gli avrebbe detto 
che era come l'Ebreo errante, come il Batavo maledetto. 
Quante volte ci è capitato di trovarci di fronte a un muro, 
quante volte abbiam picchiato, quante volte subìto duro, 
quante cose nate per sbaglio, quanti sbagli nati per caso, 
quante volte l'orizzonte non va oltre il nostro naso. 

Quante volte ci sembra piana mentre sotto gioca d'azzardo 
questa vita che ci birilla come bocce da biliardo, 
questa cosa che non sappiamo, questo conto senza gli osti, 
questo gioco da giocare fino in fondo a tutti i costi. 

04 Bologna (04.39

Bologna è una vecchia signora dai fianchi un po' molli, 
col seno sul piano padano ed il culo sui colli. 
Bologna arrogante e papale, Bologna la rossa e fetale, 
Bologna la grassa e l'umana, già un poco Romagna e in odor di Toscana. 

Bologna per me provinciale Parigi minore, 
mercati all'aperto, bistrots, della "rive gauche" l'odore, 
con Sartre che pontificava, Baudelaire fra l'assenzio cantava 
ed io, modenese volgare, a sudarmi un amore, fosse pure ancillare. 

Però che bohème confortevole, giocata fra casa e osterie, 
quando a ogni bicchiere rimbalzano le filosofie. 
Oh, quanto eravamo poetici, ma senza pudore o paura 
e i vecchi "imbariaghi" sembravano la letteratura. 
Oh, quanto eravam tutti artistici, ma senza pudore o vergogna, 
cullati fra i portici-cosce di mamma Bologna. 

Bologna è una donna emiliana di zigomo forte, 
Bologna capace d'amore, capace di morte, 
che sa quel che conta e che vale, che sa dov'è il sugo del sale, 
che calcola il giusto la vita, e che sa stare in piedi per quanto colpita. 

Bologna è una ricca signora che fu contadina, 
benessere, ville, gioielli e salami in vetrina, 
che sa che l'odor di miseria da mandare giù è cosa seria 
e vuole sentirsi sicura con quello che ha addosso, perché sa la paura. 
Lo sprechi il tuo odor di benessere però con lo strano binomio 
dei morti per sogni davanti al tuo Santo Petronio 
e i tuoi bolognesi, se esistono, ci sono od ormai si son persi, 
confusi e legati a migliaia di mondi diversi? 
ma quante parole ti cantano, cullando i cliché della gente 
cantando canzoni che è come cantare di niente. 

Bologna è una strana signora, volgare e matrona, 
Bologna bambina per bene, Bologna busona, 
Bologna ombelico di tutto, mi spingi a un singhiozzo e ad un rutto, 
rimorso per quel che m'hai dato, che è quasi ricordo, e in odor di passato. 

05 Lager (03.45

Cos'è un lager? 
è una cosa nata in tempi tristi, 
dove dopo passano i turisti, 
occhi increduli agli orrori visti 
(non gettar la pelle del salame!) 

Cos'è un lager? 
è una cosa come un monumento, 
e il ricordo assieme agli anni è spento, 
non ce n'è mai stati, solo in quel momento, l'uomo in fondo è buono, meno il nazi infame! 
Ma ce n'è, ma c'è chi li ha veduti, 
o son balle di sopravvissuti? 
Illegali i testimoni muti, 
non si facciano nemmen parlare! 

Cos'è un lager? 
Sono mille e mille occhiaie vuote, 
sono mani magre abbarbicate ai fili, 
son baracche e uffici, orari, timbri, 
ruote, son routine e risa dietro a dei fucili, 
sono la paura l'unica emozione, 
sono angoscia d'anni dove il niente è tutto, 
sono una pazzia ed un'allucinazione 
che la nostra noia sembra quasi un rutto, 
sono il lato buio della nostra mente, 
sono un qualchecosa da dimenticare, 
sono eternità di risa di demente, 
sono un manifesto che si può firmare. 
É un lager. 

Cos'è un lager? 
Il fenomeno ci fu. è finito! 
Li commemoriamo, il resto è un mito! 
L'hanno confermato ieri, giù al partito, 
chi lo afferma è un qualunquista cane. 

Cos'è un lager? 
è una cosa sporca, cosa dei padroni, 
cosa vergognosa di certe nazioni, 
noi ammazziamo solo per motivi buoni. 
Quando sono buoni? Sta a noi giudicare. 

Cos'è un lager? 
è una fede certa e salverà la gente, l'utopia che un giorno si farà presente, 
millenaria idea, gran purga d'occidente, chi si oppone è un giuda e lo dovrai schiacciare. 

Cos'è un lager? 
Son recinti e stalli di animali strani, gambe che per anni fan gli stessi passi, 
esseri diversi, scarsamente umani, cosa fra le cose, l'erba, i mitra, i sassi, 
l'ironia per quella che chiamiam ragione, sbagli ammessi solo sempre troppo dopo, 
prima sventolanti giustificazione, una causa santa, un luminoso scopo, 
sono la curiosa prassi del terrore, sempre per qualcosa, sempre per la pace, 
sono un posto in cui spesso la gente muore, sono un posto in cui, peggio, la gente nasce. 
É un lager. 

É una cosa stata e cosa che sarà, può essere in un ghetto, fabbrica, città, 
contro queste cose o chi non lo vorrà, contro chi va contro o le difenderà, 
prima per chi perde e poi chi vincerà, uno ne finisce ed uno sorgerà, 
sempre per il bene dell'umanità, chi fra voi kapò, chi vittima sarà 
in un lager? 

06 Black-out (03.54

La luce è andata ancora via, ma la stufa è accesa, e così sia. 
A casa mia tu dormirai, ma quali sogni sognerai, 
con questa luna che spaccherà in due le mie risate e le ombre tue, 
i miei cavalli ed i miei fanti, il tuo esse sordo ed i tuoi canti, 
tutti i ghiaccioli appesi ai fili, tutti i miei giochi e i tuoi monili, 
i campanili, i pazzi, i santi e l'allegria. 

E non andrà il televisore; cosa faremo in queste ore? 
Rumore attorno non si sente, giochiamo a immaginar la gente, 
corriamo a fare gli incubi indiscreti, curiosi d'ozi e di segreti, 
di quei problemi quotidiani che a notte il sonno fa lontani, 
o che nel sogno sopra a un viso, diventan urlo od un sorriso, 
il paradiso, inferno, mani, l'odio e amore. 

Avessi sette vite a mano, in ogni casa entrerei piano 
e mi farei fratello o amante, marito, figlio, re o brigante 
o mendicante o giocatore, poeta, fabbro, papa, agricoltore. 
Ma ho questa vita e il mio destino, e ora cavalco l'Appennino 
e grido al buio più profondo la voglia che ho di stare al mondo: 
in fondo è proprio un gran bel gioco a far l'amore tanto e non bere poco. 

E questo buio, che sollievo, ci dona un altro medio evo, 
io levo dall'oscurità tutta la nostra civiltà, 
velocità di macchine a motore, follia di folla e di rumore 
e metto ritmi più lontani, di bestie, legni e suoni umani, 
odore d'olio e di candele, fruscio di canapi e di vele, 
il miele il latte i pani e il vino vero. 

Ma chissà poi se erano quelli davvero tempi tanto belli 
o caroselli che giriamo per l'incertezza che culliamo 
in questa giostra di figure e suoni, di luci e schermi da illusioni, 
di baracconi in bene o in male, di eterne fughe dal reale 
che basta un po' d'oscurità per darci la serenità, 
semplicità, sapore sale e ritornelli. 

Non voglio tante vite a mano, mi basta questa che viviamo, 
comuni giorni intensi o pigri, gli specchi ambigui dei miei libri, 
le tigri della fantasia, tristezze ed ottimismo ed ironia. 
Ma quante chiacchiere stavolta, che confusione a ruota sciolta, 
lo so che è un pezzo che parliamo, ma è tanto bello: non dormiamo, 
beviamo ancora un po' di vino, che tanto tra due sorsi è già mattino. 

Su, sveglia, e guardati d'attorno, sta già arrivando il nuovo giorno: 
lo storno e il merlo son già in giro, non vorrai fare come il ghiro, 
non c'è black-out e tutto è ormai finito, e il vecchio frigo è ripartito, 
con i suoi toni rochi e tristi, scatarra versi futuristi, 
lo so siam svegli ormai da allora, ma qualche cosa manca ancora: 
finiamo in gloria amore mio, e dopo, a giorno fatto, dormo anch'io. 

07 Milano (Poveri bimbi di) (04.52

Quando son nato io pesavo sei chili: 
avevo spalle da uomo e mani grandi come badili. 
Quando son nato io eran davvero tempi cupi 
e le mie strade erano piene di iene e di lupi. 
Quando son nato io la morte stringeva la vite 
e la gente del mondo ingoiava cordite. 

Poveri bimbi di Milano coi vestiti comprati all'Upim, 
abituati ad un cielo a buchi che vedete sempre più lontano. 
Poveri bimbi di Milano, così fragili così infelici, 
che urlate rabbia senza radici con occhi tinti e con niente in mano. 
Poveri bimbi di Milano, derubati anche di speranza 
che danzate la vostra danza in quello zoo metropolitano. 
Poveri bimbi di Milano con fazzoletti come giardini, 
poveri indiani nella riserva, povere giacche blu questurini. 

Quando son nato io c'era la fame nera 
e la vita d'ognuno tirava il lotto ogni sera. 
Quando son nato io le città erano cimiteri 
e la primavera sbocciava sopra ai morti di ieri. 
Quando son nato io alla fine ci fu gran festa 
e l'uomo si svegliò dal sonno, aprì gli occhi e rialzò la testa. 

Poveri bimbi di Milano, dall'orizzonte sempre coperto, 
povera sete di libertà costretta a vivere nel deserto. 
Poveri bimbi di Milano, dalle musiche come un motore 
col più terribile dei silenzi: la solitudine del rumore. 
Poveri bimbi di Milano, figli di padri preoccupanti, 
con un esistere da nano e nella mente sogni giganti. 
Poveri bimbi di Milano, numerosi come minuti, 
viaggiatori di mete fisse, spettatori sempre seduti. 

Quando son nato io, come capita a tutti, 
il tempo uguale e incurante imponeva i suoi frutti. 
Quando son nato io nel rogo di San Silvestro 
si bruciava il passato e il peccato col resto. 
Quando rinasceremo come il sogno d'un uomo 
bruceremo il futuro in piazza del Duomo. 

=
= Note e significato
=
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01 Bisanzio (05.11

Racconta Guccini: 
“Bisanzio crolla nel 1492, data della scoperta dell'America. Sopravvive a Roma mille anni. Quindi questa civiltà greco-latina continua mille anni dopo le invasioni barbariche, e questo è un elemento molto affascinante. Si può avere la misura del cambiamento di una civiltà, la vera dimensione del passaggio dal Medioevo all'Età moderna. Filemazio è un personaggio che ho ricercato, non è un nome inventato. Era un filosofo minore, 'Filemazio', amico della conoscenza.” 
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02 Venezia (04.02
“Venezia”  è stata scritta da Giampiero Alloisio. 
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03 Antenòr (05.16

“Antenòr”  è una canzone che può essere letta su più livelli. Da una parte si ha una semplice storia: un giovane gaucho viene sfidato a duello da uno sconosciuto per una questione di donne; Il gaucho non vorrebbe duellare ma non ha scelta, perchè rifiutando perderebbe la faccia davanti al suo clan, mentre uccidendo l'avversario sarà costretto all'esilio in quanto assassino. 
A livello più astratto si può scorgere un'analisi delle scelte, spesso obbligate e definitive, che la vita pone, “birillandoci”  come bocce da biliardo. 
Guccini lancia quindi uno sguardo sgomento e quasi terrorizzato al concatenarsi di eventi che determina lo scorrere dell'esistenza di ognuno di noi: “Quante volte per gli altri è vita quello che per noi è un minuto”  . 
*
Ebreo errante  
*
Figura leggendaria della mitologia cristiana europea, rappresenta un ebreo che ha in qualche modo offeso Gesù (da alcune fonti rifiutandogli alloggio, da altre percuotendolo prima di essere messo in croce), venendo da quest'ultimo maledetto e costretto a vagare sulla terra senza meta. 
*
Batavo maledetto  
*
Si riferisce probabilmente al Capitano Vanderdecken e al suo leggendario “Olandese Volante”  ( “Batavo”  è infatti italiano arcaico per “Olandese”  ). Si racconta che, ormai prossimo a superare il Capo di Buona Speranza, il suo vascello si trovò improvvisamente coinvolto in una violenta tempesta. Il capitano sfidò la collera di Dio esclamando, tra una bestemmia e l'altra, “Supererò il Capo di Buona Speranza dovessi navigare fino al Giorno del Giudizio”  venendo così condannato a un viaggio senza meta. 
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04 Bologna (04.39
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05 Lager (03.45
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06 Black-out (03.54
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07 Milano (Poveri bimbi di) (04.52

“Milano (poveri bimbi di)”  è stata scritta in collaborazione con Giampiero Alloisio. Esiste un verso inedito della canzone che recita: 

“Poveri bimbi di Milano 
 che diventerete da grandi 
 poveri ladri di panettone 
 e giornalisti d'opinione.” 

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