Francesco Guccini
Ritratti
2004
Ritratti (2004) è il ventesimo album del cantautore italiano Francesco Guccini.
Musicisti:
Francesco Guccini: voce
Vince Tempera: pianoforte, tastiera
Antonio Marangolo: sax e percussioni
Roberto Manuzzi: sax, tastiera, armonica a bocca
Ares Tavolazzi: basso, contrabbasso
Pierluigi Mingotti: basso
Juan Carlos "Flaco" Biondini: chitarra, cori, bouzouki
Ellade Bandini: batteria
Daniele Di Bonaventura: bandoneon
Giancarlo Bianchetti: chitarra ritmica in Odysseus
=
Autores:
01 Odỳsseus > Francesco Guccini
02 Una canzone > Francesco Guccini
03 Canzone per il Che >
Testo: Manuel Vázquez Montalbán Francesco Guccini
Musica: Juan Carlos Biondini
04 Piazza Alimonda > Francesco Guccini
05 Vite > Francesco Guccini
06 Cristoforo Colombo >
Testo: Francesco Guccini e Giuseppe Dati
Musica: Giuseppe Dati e Marco Fontana)
07 Certo non sai >
Testo: Francesco Guccini
Musica> Antonio Marangolo
08 La żiatta (La tieta)
Testo: Francesco Guccini
Musica: Joan Manuel Serrat
09 La tua libertà > Francesco Guccini
01 Odỳsseus (04.29
02 Una canzone (04.39
03 Canzone per il Che (05.14
04 Piazza Alimonda (05.53
05 Vite (05.38
06 Cristoforo Colombo (05.51
07 Certo non sai (04.28
08 La żiatta (La tieta (05.48
09 La tua libertà (04.35
===
01 Odỳsseus (04.29
Bisogna che lo affermi fortemente
che, certo, non appartenevo al mare
anche se Dei d'Olimpo e umana gente
mi sospinsero un giorno a navigare
e se guardavo l'isola petrosa
ulivi e armenti sopra a ogni collina
c'era il mio cuore al sommo d'ogni cosa
c'era l'anima mia che è contadina;
un'isola d'aratro e di frumento
senza le vele, senza pescatori,
il sudore e la terra erano argento
il vino e l'olio erano i miei ori.
Ma se tu guardi un monte che hai di faccia
senti che ti sospinge a un altro monte,
un'isola col mare che l'abbraccia
ti chiama a un'altra isola di fronte
e diedi un volto a quelle mie chimere
le navi costruii di forma ardita,
concave navi dalle vele nere
e nel mare cambiò quella mia vita
e il mare trascurato mi travolse:
seppi che il mio futuro era nel mare
con un dubbio però che non si sciolse
senza futuro era il mio navigare
Ma nel futuro trame di passato
si uniscono a brandelli di presente,
ti esalta l'acqua e il gusto del salato
brucia la mente
e ad ogni viaggio reinventarsi un mito
a ogni incontro ridisegnare il mondo
e perdersi nel gusto del proibito
sempre più in fondo
E andare in giorni bianchi come arsura,
soffio di vento e forza delle braccia,
mano al timone e sguardo nella pura
schiuma che lascia effimera una traccia;
andare nella notte che ti avvolge
scrutando delle stelle il tremolare
in alto l'Orsa è un segno che ti volge
diritta verso il Nord della Polare.
E andare come spinto dal destino
verso una guerra, verso l'avventura
e tornare contro ogni vaticino
contro gli Dei e contro la paura.
E andare verso isole incantate,
verso altri amori, verso forze arcane,
compagni persi e navi naufragati;
per mesi, anni, o soltanto settimane?
La memoria confonde e dà l'oblio,
chi era Nausicaa, e dove le sirene?
Circe e Calypso perse nel brusio
di voci che non so legare assieme.
Mi sfuggono il timone, vela, remo,
la frattura fra inizio ed il finire,
l'urlo dell'accecato Polifemo
ed il mio navigare per fuggire.
E fuggendo si muore e la mia morte
sento vicina quando tutto tace
sul mare, e maledico la mia sorte
non trovo pace.
forse perché sono rimasto solo
ma allora non tremava la mia mano
e i remi mutai in ali al folle volo
oltre l'umano.
La vita del mare segna false rotte,
ingannevole in mare ogni tracciato,
solo leggende perse nella notte
perenne di chi un giorno mi ha cantato
donandomi però un'eterna vita
racchiusa in versi, in ritmi, in una rima,
dandomi ancora la gioia infinita
di entrare in porti
sconosciuti prima.
02 Una canzone (04.39
La canzone è una penna e un foglio
così fragili fra queste dita,
è quel che non è, è l'erba voglio
ma può essere complessa come la vita.
La canzone è una vaga farfalla
che vola via nell'aria leggera,
una macchia azzurra, una rosa gialla,
un respiro di vento la sera,
una lucciola accesa in un prato,
un sospiro fatto di niente
ma qualche volta se ti ha afferrato
ti rimane per sempre in mente
e la scrive gente quasi normale
ma con l'anima come un bambino
che ogni tanto si mette le ali
e con le parole gioca a rimpiattino.
La canzone è una stella filante
che qualche volta diventa cometa
una meteora di fuoco bruciante
però impalpabile come la seta.
La canzone può aprirti il cuore
con la ragione o col sentimento
fatta di pane, vino, sudore
lunga una vita, lunga un momento.
Si può cantare a voce sguaiata
quando sei in branco, per allegria
o la sussurri appena accennata
se ti circonda la malinconia
e ti ricorda quel canto muto
la donna che ha fatto innamorare
le vite che tu non hai vissuto
e quella che tu vuoi dimenticare.
La canzone è una scatola magica
spesso riempita di cose futili
ma se la intessi d'ironia tragica
ti spazza via i ritornelli inutili;
è un manifesto che puoi riempire
con cose e facce da raccontare
esili vite da rivestire
e storie minime da ripagare
fatta con sette note essenziali
e quattro accordi cuciti in croce
sopra chitarre più che normali
ed una voce che non è voce
ma con carambola lessicale
può essere un prisma di rifrazione
cristallo e pietra filosofale
svettante in aria come un falcone.
Perché può nascere da un male oscuro
che è difficile diagnosticare
fra il passato appesa e il futuro,
lì presente e pronta a scappare
e la canzone diventa un sasso
lama, martello, una polveriera
che a volte morde e colpisce basso
e a volte sventola come bandiera.
La urli allora un giorno di rabbia
la getti in faccia a chi non ti piace
un grimaldello che apre ogni gabbia
pronta ad irridere chi canta e tace.
Però alla fine è fatta di fumo
veste la stoffa delle illusioni,
nebbie, ricordi, pena, profumo:
son tutto questo le mie canzoni
son tutto questo le mie canzoni.
03 Canzone per il Che (05.14
Un popolo può liberare se stesso
dalle sue gabbie di animali elettrodomestici,
ma all'avanguardia d'America
dobbiamo far dei sacrifici
verso il cammino lento della piena libertà.
E se il rivoluzionario
non trova altro riposo che la morte,
che rinunci al riposo e sopravviva
niente o nessuno lo trattenga
anche per il momento di un bacio
o per qualche calore di pelle o prebenda.
I problemi di coscienza interessano tanto
quanto la piena perfezione di un risultato;
lottiamo contro la miseria,
ma allo stesso tempo contro la sopraffazione.
Lasciate che lo dica
ma il rivoluzionario quando è vero
è guidato da un grande sentimento d'amore,
ha dei figli che non riescono a chiamarlo,
mogli che fanno parte di quel sacrificio;
suoi amici sono i compañeros della revolución.
Addio vecchi
oggi è il giorno conclusivo,
non lo cerco ma è già tutto nel mio calcolo.
Addio Fidel,
oggi è l'atto conclusivo
sotto il mio cielo
della gran patria di Bolívar,
la luna di Higueras è la luna di Playa Girón.
Sono un rivoluzionario cubano,
sono un rivoluzionario d'America.
"Signor colonnello
sono Ernesto "Che" Guevara.
Mi spari,
tanto sarò utile da morto,
come da vivo.
04 Piazza Alimonda (05.53
Genova, schiacciata sul mare, sembra cercare
respiro al largo, verso l'orizzonte.
Genova, repubblicana di cuore, vento di sale,
d'anima forte.
Genova che si perde in centro nei labirintici vecchi carrugi,
parole antiche e nuove sparate a colpi come da archibugi.
Genova, quella giornata di luglio, d'un caldo torrido
d'Africa nera.
Sfera di sole a piombo, rombo di gente, tesa atmosfera.
Nera o blu l'uniforme, precisi gli ordini, sudore e rabbia;
facce e scudi da Opliti, l'odio di dentro come una scabbia.
Ma poco più lontano, un pensionato ed un vecchio cane
guardavano un aeroplano che lento andava macchiando il mare;
una voce spezzava l'urlare estatico dei bambini.
Panni distesi al sole, come una beffa, dentro ai giardini.
Uscir di casa a vent'anni è quasi un obbligo, quasi un dovere,
piacere d'incontri a grappoli, ideali identici, essere e avere,
la grande folla chiama, canti e colori, grida ed avanza,
sfida il sole implacabile, quasi incredibile passo di danza.
Genova chiusa da sbarre, Genova soffre come in prigione,
Genova marcata a vista attende un soffio di liberazione.
Dentro gli uffici uomini freddi discutono la strategia
e uomini caldi esplodono un colpo secco, morte e follia.
Si rompe il tempo e l'attimo, per un istante, resta sospeso,
appeso al buio e al niente, poi l'assurdo video ritorna
acceso;
marionette si muovono, cercando alibi per quelle vite
dissipate e disperse nell'aspro odore della cordite.
Genova non sa ancora niente, lenta agonizza, fuoco e rumore,
ma come quella vita giovane spenta, Genova muore.
Per quanti giorni l'odio colpirà ancora a mani piene.
Genova risponde al porto con l'urlo alto delle sirene.
Poi tutto ricomincia come ogni giorno e chi ha la ragione,
dico nobili uomini, danno implacabile giustificazione,
come ci fosse un modo, uno soltanto, per riportare
una vita troncata, tutta una vita da immaginare.
Genova non ha scordato perché è difficile dimenticare,
c'è traffico, mare e accento danzante e vicoli da camminare.
La Lanterna impassibile guarda da secoli gli scogli e l'onda.
Ritorna come sempre, quasi normale, piazza Alimonda.
La "salvia splendens" luccica, copre un'aiuola triangolare,
viaggia il traffico solito scorrendo rapido e irregolare.
Dal bar caffè e grappini, verde un'edicola vende la vita.
Resta, amara e indelebile, la traccia aperta di una ferita.
05 Vite (05.38
Mi affascina il mistero delle vite
che si dipanano lungo la scacchiera
di giorni e strade, foto scolorite
memoria di vent'anni o di una sera.
E mi coinvolge l'eterno gocciolare
e il tempo sopra il viso di un passante
e il chiedermi se nei suoi occhi appare
l'insulto di una morte o di un'amante,
la rete misteriosa dei rapporti
che lega coi suoi fili evanescenti
la giostra eterna di ragioni o torti
il rintocco scaglioso dei momenti,
il mondo visto con gli occhi asfaltati
rincorrendo il balletto delle ore
noi che sappiamo dove siamo nati
ma non sapremo mai dove si muore.
Mi piace rovistare nei ricordi
di altre persone, inverni o primavere
per perdere o trovare dei raccordi
nell'apparente caos di un rigattiere:
quadri per cui qualcuno è stato in posa,
un cannocchiale che ha guardato un punto,
un mappamondo, due bijou, una rosa,
ciarpame un tempo bello e ora consunto,
pensare chi può averli adoperati,
cercare una risposta alla sciarada
del perché sono stati abbandonati
come un cane lasciato sulla strada.
Oggetti che qualcuno ha forse amato
ora giacciono lì, senza un padrone,
senza funzione, senza storia o stato,
nell'intreccio di caso o di ragione.
E la mia vita cade in altra vita
ed io mi sento solamente un punto
lungo la retta lucida e infinita
di un meccanismo immobile e presunto.
Tu sei quelli che son venuti prima
che in parte hai conosciuto, e quelli dopo
che non conoscerai, come una rima
vibrante e bella, però senza scopo.
É inutile cercare una risposta,
sai che non ce ne sono e allora tenti
un bussare distratto a quella porta
che si chiuse soltanto ai sentimenti.
Non saprai e non sai.
Questo dolore che vagli fra le magli di un tuo cribro
svanisce un po' nel contemplare un fiore
si scorda fra le pagine di un libro.
Perché non si fa a meno di altre vite
anche rubate a pagine che sfogli
oziosamente, e ambiguo le hai assorbite
da fantasmi inventati che tu spogli
rivestendoti in loro piano piano
come se ti scoprissi in uno specchio
L'Uomo a Dublino, o l'ultimo Mohicano
che ai 25 si sentiva vecchio.
E percorriamo strade non più usate
figurando chi un giorno ci passava
e scrutiamo le case abbandonate
chiedendoci che vite le abitava,
perché la nostra è sufficiente appena
ne mescoliamo inconsciamente il senso;
siamo gli attori ingenui di un palcoscenico
misterioso e immenso.
06 Cristoforo Colombo (05.51
È gia stanco di vagabondare sotto un cielo sfibrato
per quel regno affacciato sul mare ch'è dai Mori insidiato
e di terra ne ha avuta abbastanza, non di vele e di prua,
perché ha trovato una strada di stelle nel cielo dell'anima sua.
Se lo sente, non può più fallire, scoprirà un nuovo mondo;
quell'attesa lo lascia impaurito di toccare già il fondo.
Non gli manca il coraggio o la forza per vivere quella follia
e anche senza equipaggio, anche fosse un miraggio, ormai salperà via.
E la Spagna di spada e di croce riconquista Granada,
con chitarre gitane e flamenco fa suonare ogni strada;
Isabella è la grande regina del Guadalquivir
ma come lui è una donna convinta che il mondo non può finir lì.
Ha la mente già tesa all'impresa sull'oceano profondo,
caravelle e una ciurma ha concesso, per quel viaggio tremendo,
per cercare di un mondo lontano ed incerto che non sa se ci sia
ma è già l'alba e sul molo l'abbraccia una raffica di nostalgia.
E naviga, naviga via
verso un mondo impensabile ancora da ogni teoria.
Naviga, naviga via,
nel suo cuore la Niña, la Pinta e la Santa Maria.
È da un mese che naviga a vuoto quell'Atlantico amaro,
ma continua a puntare l'ignoto con lo sguardo corsaro;
sarà forse un'assurda battagli ma ignorare non puoi
che l'assurdo ci sfida per spingerci ad essere fieri di noi.
Quante volte ha sfidato il destino aggrappato ad un legno,
senza patria bestemmia in latino, quando il bere è l'impegno.
Per fortuna che il vino non manca e trasforma la vigliaccheria
di una ciurma ribelle e già stanca, in un'isola di compagnia.
E naviga, naviga via,
sulla prua che s'impenna violenta lasciando una scia.
Naviga, naviga via,
nel suo cuore la Niña, la Pinta e la Santa Maria.
Non si era sentito mai solo come in quel momento
ma ha imparato dal vivere in mare a non darsi per vinto;
andrà a sbattere in quell'orizzonte, se una terra non c'è.
Grida: "Fuori, sul ponte, compagni! Dovete fidarvi di me!"
Anche se non accenna a spezzarsi quel tramonto di vetro,
ma li aspettano fame e rimorso se tornassero indietro,
proprio adesso che manca un respiro per giungere alla verità,
a quel mondo che ha forse per faro una fiaccola di libertà.
E naviga, naviga là
come prima di nascere l'anima naviga già.
Naviga, naviga ma
quell'oceano è di sogni e di sabbia
poi si alza un sipario di nebbia
e come un circo illusorio s'illumina l'America.
Dove il sogno dell'oro ha creato
mendicanti di un senso
che galleggiano vacui nel vuoto
affamati d'immenso.
Là babeliche torri in cristallo
già più alte del cielo
fan subire al tuo cuore uno stallo
come a un Icaro in volo,
dove da una prigione a una luna d'amianto
"l'uomo morto cammina"
dove il Giorno del Ringraziamento
il tacchino in cucina
e mentre sciami assordanti d'aerei
circondano di ragnatele
quell'inutile America amara
leva l'ancora e alza le vele.
E naviga, naviga via
più lontano possibile
da quell'assordante bugia
naviga, naviga via,
nel suo cuore la Niña, la Pinta e la Santa Maria.
07 Certo non sai (04.28
Certo non sai quanto sei dolce e bella quando dormi
coi tuoi capelli sparsi e abbandonati sul cuscino
neri e lucenti, come degli stormi
di corvi in volo chiaro del mattino.
Certo non so che cosa puoi sognare quando sogni
e appare solo appena un lieve affanno nel respiro
che ti esce piano e si mescola coi suoni
di questa notte che si consuma in giro.
E sulla tua fronte gocce di sudore;
io vorrei asciugarle, io vorrei parlarti,
dirti cose vane ma c'è in me il timore
di spezzarti il sonno, forse di svegliarti.
Forse non sai quando sia felice nel vederti
addormentata e persa accanto a me, stesa vicino;
quanto sia bello il gioco dell'averti
in sogno verso chissà quale destino.
Certo non sai quanto mi commuovi quando dici
parole strane e quasi senza senso a mezza voce,
forse ricordi di attimi felici
persi in un atomo onirico veloce.
Certo non so con cosa o chi sorride quel sorriso;
dicon con gli angeli ma il nostro cielo è quello umano,
un lampo breve che dà luce al viso
accarezzato da questa mia mano.
Questa breve notte lenta si frantuma
ed il nuovo giorno piano sta arrivando,
già sull'est albeggia, non c'è più la luna;
sveglia ti alzi e chiedi: “Cosa stai guardando?”
Forse non sai quando di sonno e di notte sei bagnata
quanto ti ami e quanto siano vuote le parole;
chiedo: “Che sogni ti hanno accompagnata?”
e fuori il giorno esplode al nuovo sole.
08 La żiatta (La tieta (05.48
A la desterà al veint
con un colp al persian
l'è acsè lèrgh al sòo let
e i linzòo fradd e grand
tòt dò i oc' mez e srèe
zercherà n'ètra man
sèinza catèr nisun
come aièr, come edman
Al so stèr da per lèe
l'è un sò amigh da tant'an
ch'a l' ch'gnass tòtt i sòo quèl
fin al pighi dla man;
la scultarà al gnulèr
d'un gat vec' e castrèe
ch'a gh' dòrm inzèmma a i znoc
d'invèren tòtt al dè.
Un breviari apugièe
in vatta a la tulatta
e un gaz d'acqua trincèe
quand a s'lèva la ziatta
Un spec' vec' e incrinèe
a gh'arcurdarà pian
come al tiemp l'è pasèe
come in vulèe via i an,
e gl'insaggni dl'etèe
per al stridi i s' sèn pèrs,
quanti rughi ch'a gh'è
e i oc' come i èn divèrs.
L'a gh' butarà un suris
la purtinèra ed ca'
per l'urgói cg' a gh'la lèe
perché a gh' fa bèin i fat;
tòtt i dè fèr l'istass
ciapèr al filibùs
per badèr ai tragatt
d'un avuchèe nèe stóff,
cun al quèl an andrèe
l'aviva fat la “stratta”
ma tant tèimp l'è pasèe
ch'a n s'arcorda la ziatta.
Lèe ch'l'ha sèimpr in piò un piat
quand ariva Nadèl,
lèe ch'la n vòl mai nisun
se un dè, a chès, l'a s' sèint mèl,
lèe ch'l'a n gh'ha gnanca un fióo
sol quall ed sóo fradel,
lèe ch'l dis: “L'a n va mel!”
Ch'l'a dis: “A fagh tant bè!”
E la dmanga del Pèlmi
la cumprarà a sòo anvod
un bel ram longh d'uliv
e un pèr ed calzatt nóv
e po' in cesa tótt dóo
i faran come al pret
e i pregherai Gesó
ch'a l'va a Gerusalem;
pó a gh' darà soquant franch
de mattr'ind na casatta
perché a s' dèv risparmièr
com la fa lèe, ziatta.
E un dè a s'gh'ha da murir
com' piò o meno i fan tótt,
cun na frèva da gnint
l'andrà in cal po'st tant brótt;
l'avrà bele paghe
un prèt ch'a s'sèint a po'st,
la casa, al funerèl
e la Massa di mort,
E i fior ch'i andrai andrèe
al sóo trèst suplimèint
i èn cal cosi che pass
a l' se scorda la zèint;
a gh' resterà po' i fior
e i drap negher e zal
e dedrèe un vec' amigh
scuvèrt un mumèint fa
e un santèin a l' dirà
ch'l'è morta n'ètra sciatta;
ch'l'arpóunsa in pès, amen,
e scurdaramm la ziatta.
09 La tua libertà (04.35
Oltre le mura
della città
un orizzonte insegue un orizzonte;
a un'autostrada, un'altra seguirà,
gli spazi sono fatti per andare;
la tua libertà,
se vuoi, la puoi trovare.
E un uomo saggio
regole farà,
una prigione fatta di parole;
i carcerieri
di una società
ti impediranno di cercare il sole;
la tua libertà,
se vuoi, la puoi avere.
Fossi un uccello
alto nel cielo
potrei volare senza aver padroni;
se fossi un fiume
potrei andare
rompendo gli argini nelle mie alluvioni
E boschi e boschi
cerco attorno a me
dov'è la terra che non ha barriere?
dov'è quel vento
che ci spingerà
come le vele o le bandiere;
la tua libertà
se vuoi la puoi avere.
Fossi un uccello
alto nel cielo
potrei volare senza aver padroni;
se fossi un fiume
potrei andare
rompendo gli argini nelle mie alluvioni
Ma sono un uomo
uno fra milioni
e come gli altri ho il peso della vita
e la mia strada
lungo le stagioni
può essere breve, ma può essere infinita;
la tua libertà
cercala, che si è smarrita,
cercala, che si è smarrita.
=====
*
*** Note e significato
*
01 Odỳsseus (04.29
“Odỳsseus” è dedicata al mitico personaggio di Ulisse (in greco, Odisseo) e presenta il seguente sottotitolo: “con ringraziamenti e scuse a Omero, Dante, Foscolo, C. Kavafis, J. C. Izzo, A. prandi” .
Nausicaa Nausicaa
(o anche Nausica), figlia del Re dei Feaci Alcinoo,
è una figura della mitologia greca citata nel sesto libro dell'Odissea.
L'incontro tra la Principessa e Ulisse avviene su una spiaggia,
dove Nausicaa sta giocando con delle ancelle.
Le giovani svegliano inavvertitamente Ulisse che, appena naugragato sull'isola,
sta dormendo in un cespuglio.
Tutte scappano, tranne Nausicaa che conduce Ulisse alla corte del padre,
il quale gli fornirà una barca per tornare in Patria.
Segue un estratto dell'Odissea che narra l'incontro tra
Ulisse e Nausicaa (traduzione di Ippolito Pindemonte):
Nausica in man tolse la palla, e ad una
Delle compagne la scagliò: la palla
Desvïossi dal segno a cui volava,
E nel profondo vortice cadé.
Tutte misero allora un alto grido,
Per cui si ruppe incontanente il sonno
Nel capo a Ulisse; che a seder drizzossi
Tai cose in sé volgendo: Ahi fra qual gente
Mi ritrovo io? Cruda, villana, ingiusta,
O amica degli estrani, e ai dii sommessa?
Quel, che l'orecchio mi percosse, un grido
Femminil parmi di fanciulle ninfe,
Che de' monti su i gioghi erti, e de' fiumi
Nelle sorgenti, e per l'erbose valli
Albergano. O son forse umane voci,
Che testé mi ferîro? Io senza indugio
Dagli stessi occhi miei sapronne il vero.
Nausicaa La Maga Circe
Personaggio mitologico citato nell'Odissea. Figlia di Elio, Dio del Sole, Circe abita nell'isola di Eea, nella quale Ulisse si imbatte. I compagni mandati in esplorazione vengono tramutati in maiali, grazie a un veleno
mischiato al vino offerto loro da Circe. Solo Eurìloco, sospettoso, evita di bere e riesce ad avvertire Ulisse del pericolo, il quale parte immediatamente per trattare la liberazione dei compagni. Nel tragitto il dio Ermes
gli offre un'erba in grado di renderlo immune al veleno di Circe. Segue un estratto dell'Odissea che narra la trasformazione dei compagni di Ulisse in animali (traduzione di Ippolito Pindemonte). Nell'immagine il dipinto
“Circe Offering the Cup to Ulysses” di J. W. Waterhouse (1849 - 1917), realizzato nel 1891 .
La seguìan tutti incautamente salvo Eurìloco, che fuor, di qualche inganno
Sospettando, restò. La dea li pose Sovra splendidi seggi: e lor mescea Il Pramnio vino con rappreso latte, Bianca farina e mel recente; e un succo Giungeavi esizïal, perché con questo Della patria l'obblìo ciascun bevesse.
Preso e vôtato dai meschini il nappo, Circe batteali d'una verga, e in vile Stalla chiudeali: avean di porco testa, Corpo, sétole, voce; ma lo spirto Serbavan dentro, qual da prima, intègro.
Calypso
(o anche Calipso) è una ninfa dell'isola di Ogigia, sulla quale Ulisse approda dopo essere sfuggito al vortice di Cariddi. La bellezza di Calypso lo farà innamorare al punto di decidere di restare sull'isola per molti anni.
Solo grazie all'intervento di Atena Ulisse riuscirà a ripartire per Itaca. Segue un estratto dell'Odissea che racconta di Calipso (traduzione di Ippolito Pindemonte):
Ciò raccontarti senza fraude intendo
Che un oracol verace, il marin vecchio
Proteo, svelommi. Asseverava il nume
Che molte e molte lagrime dagli occhi
Spargere il vide in solitario scoglio,
Soggiorno di Calipso, inclita ninfa,
Che rimandarlo niega; ond'ei, cui solo
Non avanza un naviglio, e non compagni
Che il careggin del mar su l'ampio dorso,
Star gli convien della sua patria in bando.
02 Una canzone (04.39
L'attenzione per le rime è un aspetto ricorrente nelle canzoni di Guccini che nel corso della sua carriera ha deliziato gli ascoltatori con accostamenti unici. Dice di lui Umberto Eco:
“Guccini è omerico, procede per agglomerazione, ha una gran sfacciataggine nell'osare una metafora dietro l'altra. Se vogliamo giocare al gioco del rifacimento celebre, dobbiamo pensare a Walt Whitman. E dentro ci sta tutto,
la citazione dotta buttata là senza parere, la memoria intimistica, la descrizione paesaggistica.[�] Sembrerà strano (o no), ma con quella barba e quel suo corpaccio, con la sua erre padana e paesana, Guccini è forse il più colto dei cantautori in circolazione: la sua è poesia dotta, intarsio di riferimenti: che coraggio, far rimare ” amare “ con 'Schopenhauer'!.”
E Guccini racconta come la rima sia per lui un fattore culturale, quasi una cosa appartenente al suo vissuto:
“La rima è importantissima. Da ragazzino leggevo il 'Corriere dei piccoli': 'Qui comincia l'avventura del signor Bonaventura�' Inoltre sono cresciuto in un'atmosfera toscaneggiante. I toscani erano improvvisatori di rime e di rime ne avevano in quantità illimitate. Quindi per me la rima è davvero molto importante, è un elemento istintivo legato all'infanzia. Da adulto poi mi sono accorto che la rima è qualcosa che vibra. La rima unisce le parole e fa cambiare il significato. E' come aggiungere una nota in un accordo: quella nota fa vibrare le altre note e apre delle risonanze particolari.”
03 Canzone per il Che (05.14
Il testo di “Canzone per il Che” è stato scritto in collaborazione con Manuel Vázquez Montalbán,. La musica è di Flaco Biondini.
04 Piazza Alimonda (05.53
“Piazza Alimonda” racconta i tristemente celebri fatti del G8 di Genova nel 2001
05 Vite (05.38
Cribro
Strumento simile ad un setaccio usato per separare il grano.
06 Cristoforo Colombo (05.51
“Cristoforo Colombo” è stata scritta in collaborazione con Giuseppe Dati. Musiche di Giuseppe Dati e Marco Fontana.
07 Certo non sai (04.28
La musica di “Certo non sai” è del batterista Antonio Marangolo
08 La żiatta (La tieta (05.48
La Zietta
La sveglierà il vento
con un colpo alle persiane
è così largo il suo letto
e le lenzuola fredde e grandi
entrambi gli occhi sono mezzi chiusi
cercherà un'altra mano
senza trovare nessuno
come ieri e come domani
Il suo restare sola
è suo amico da tanti anni
che conosce tutti i suoi dettagli
persino le pieghe delle mani
alcolterà il pianto
d'un gatto vecchio e castrato
che le dorme sulle ginocchia
d'inverno tutto il giorno
Un breviario appoggiato
sul ripiano del lavabo
un goccio d'acqua (bevuto?)
quando si alza la zietta
Uno specchio vecchio e incrinato
le ricorderà piano
come il tempo è passato
come sono volati via gli anni
e i segni dell'età
per le strade si son persi
quante rughe che ci sono
e gli occhi come sono diversi
Ci butterà un sorriso
la portinaia di casa
per l'orgoglio che ha lei
perché le fa bene i lavori domestici
Tutti i giorni fare le stesse cose
prendere il filobus
per badare agli affari
d'un avvocato nato stanco
che anni prima
aveva corteggiato (credo, non sono sicuro)
ma tanto tempo è passato
che non si ricorda la zietta
Lei che ha sempre un piatto in più
quando arriva Natale
lei che non vuole mai nessuno
se un giorno, per caso, si sente male
lei che non ha nemmeno un figlio
solo quello di suo fratello
lei che dice "non va male"
che dice "faccio tanto (bene?)"
E la domenica delle Palme
comprerà a suo nipote
un bel ramo lungo d'ulivo
e un paio di calze nuove
e poi in chiese tutti e due
faranno come il prete
e pregheranno Gesù
che va a Gerusalemme
poi gli darà un po' di soldi
da mettere nella cassetta
perché si deve risparmiare
come fa lei, zietta
E un giorno si deve morire
come più o meno fanno tutti
con una febbre da niente
andrà in quel posto così brutto
avrà già pagato
un prete che si sente a posto
la cassa, il funerale
e la Messa dei morti
e i fiori che seguiranno
la sua triste sepoltura
sono quelle cose che passano
e di cui la gente si scorda
rimarranno poi i fiori
e i drappi neri e gialli
e dietro un vecchio amico
scoperto un momento fa
e un ricordino dirà
che è morta un'altra schietta
che riposa in pace, amen
e scorderemo la zietta
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“La Ziatta” è cantata in dialetto emiliano. La versione originale della canzone , il cui testo è riportato alla fine della nota, è del cantante spagnolo Joan Manuel Serrat .
La Tieta
La despertará el viento de un golpe en los postigos.
Su cama es tan larga y tan ancha. Y las sábanas están frías.
Con los ojos medio cerrados buscará otra mano,
sin encontrar ninguna, como ayer, como mañana.
Su soledad es el amante fiel,
que conoce su cuerpo pliegue a pliegue, palmo a palmo.
Escuchará el maullido de un gato viejo y castrado,
que en sus rodillas duerme las largas noches de invierno.
Hay un misal dormido encima de la mesilla de noche,
y un vaso de agua medio vacío cuando se levanta “la tieta” . (la tía soltera).
Un espejo resquebrajado le dirá: “Te haces mayor.
¡Cómo ha pasado el tiempo! ¡Cómo han volado los años!
¡Cómo se han perdido por las calles los sueños de juventud!
¡Cómo se arruga la piel, cómo se hunden los ojos!.”
La portera, a su paso, dibujará una sonrisa:
es el orgullo de quien tiene alguien que le caliente la cama.
Cada día lo mismo: coger el autobús,
para trabajar en el despacho de un abogado gandul.
Con quien en otro tiempo ella se hacía la estrecha.
De eso hace tanto tiempo. Ni lo recuerda “la tieta” (la tía soltera).
Con quien en otro tiempo ella se hacía la estrecha.
De eso hace tanto tiempo. Ni lo recuerda “la tieta”
La que siempre tiene un plato cuando llega Navidad.
La que no quiere nadie si un buen día cae enferma.
La que no tiene más hijos que los hijos de sus hermanos.
La que dice: “Todo va bien” . La que dice: “¡Qué más da!”
Y el Domingo de Ramos le comprará a su ahijado,
un palmón largo y blanco y un par de calcetines;
y en la iglesia los dos harán lo que hace el cura
y alabarán a Jesús que entra en Jerusalén.
Le dará veinte duritos para abrir una libreta:
hay que ahorrar el dinero, como siempre hizo “la tieta” . (la tía soltera)
Le dará veinte duritos para abrir una libreta:
hay que ahorrar el dinero, como siempre hizo “la tieta” .
Y un día se ha de morir, más o menos como todos.
Se la llevará una gripe al agujero profundo.
Entonces ya habrá pagado el nicho y el ataúd,
los salmos de los sacerdotes, las misas de difuntos
y las flores que acompañarán su entierro;
son cosas que a menudo las olvida la gente.
Y son tan bonitas las flores con crespones negros colgando,
y detrás unos amigos, descubiertos hace un instante;
y una esquela que dice. “Ha muerto la señorita.
.descanse en paz. AMÉN” . Y olvidaremos a “la tieta” (la tía soltera).
ra la, ra, ra la.
09 La tua libertà (04.35
“La tua libertà” è stata scritta da Guccini nel 1971.
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