Francesco Guccini
Radici
1972
Radici è il quarto album di Francesco Guccini, che è autore di tutti i testi e le musiche.
L'album si caratterizza per la cura rivolta alla parte musicale, lontanamente influenzata dalle tendenze progressive tipiche del periodo.
01 Radici (07.12
02 La locomotiva (08.18
03 Piccola città (04.38
04 Incontro (03.38
05 Canzone dei dodici mesi (07.04
06 Canzone della bambina portoghese (05.34
07 Il vecchio e il bambino (04.20
Formazione:
Francesco Guccini: voce, chitarra
Ellade Bandini: batteria
Deborah Kooperman: flauto, chitarra, banjo
Ares Tavolazzi: basso
Vince Tempera: tastiera
Maurizio Vandelli: mellotron, moog
Gigi Rizzi: chitarra elettrica
Fonte: Wikipedia.
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01 Radici (07.12
La casa sul confine della sera,
oscura e silenziosa se ne sta
respiri un'aria limpida e leggera
e senti voci forse d'altra età
La casa sul confine dei ricordi
la stessa sempre come tu la sai
e tu ricerchi là le tue radici
se vuoi capire l'anima che hai
Quanti tempi e quante vite sono scivolate via da te
come il fiume che ti passa attorno:
tu che hai visto nascere e morire gli antenati miei
lentamente giorno dopo giorno
Ed io l'ultimo ti chiedo se conosci in me
qualche segno qualche traccia di ogni vita
o se solamente io ricerco in te,
risposta ad ogni cosa non capita.
Ma è inutile cercare la parole
la pietra antica non emette suono
o parla come il mondo come il sole
parole troppo grandi per un uomo
E te li senti dentro quei legami
i riti antichi e i miti del passato
e te li senti dentro come mani
ma non comprendi più il significato
Ma che senso esiste in ciò che è nato dentro ai muri tuoi
tutto è morto e nessuno ha mai saputo
o solamente non ha senso chiedersi
io più mi chiedo e meno ho conosciuto
Ed io l'ultimo ti chiedo se così sarà per un altro dopo che vorrà capire
e se l'altro dopo qui troverà
il solito silenzio senza fine
La casa è come un punto di memoria
le tue radici danno la saggezza
e forse è proprio questa la risposta
e provi un grande senso di dolcezza.
02 La locomotiva (08.17
Non so che viso avesse, neppure come si chiamava,
con che voce parlasse, con quale voce poi cantava,
quanti anni avesse visto allora, di che colore i suoi capelli,
ma nella fantasia ho l'immagine sua: gli eroi sono tutti giovani e belli.
Conosco invece l'epoca dei fatti, qual era il suo mestiere:
i primi anni del secolo, macchinista, ferroviere.
I tempi in cui si cominciava la guerra santa dei pezzenti:
sembrava il treno anch'esso un mito di progresso, lanciato sopra i continenti.
E la locomotiva sembrava fosse un mostro strano,
che l'uomo dominava con il pensiero e con la mano:
ruggendo si lasciava indietro distanze che sembravano infinite,
sembrava avesse dentro un potere tremendo, la stessa forza della dinamite.
Ma un'altra grande forza spiegava allora le sue ali:
parole che dicevano "gli uomini sono tutti uguali",
e contro ai re e ai tiranni scoppiava nella via
la bomba proletaria, e illuminava l'aria la fiaccola dell'anarchia.
Un treno tutti i giorni passava per la sua stazione:
un treno di lusso, lontana destinazione.
Vedeva gente riverita, pensava a quei velluti, agli ori,
pensava al magro giorno della sua gente attorno, pensava un treno pieno di signori.
Non so che cosa accadde, perché prese la decisione.
Forse una rabbia antica, generazioni senza nome
che urlarono vendetta, gli accecarono il cuore,
dimenticò pietà, scordò la sua bontà, la bomba sua la macchina a vapore.
E sul binario stava la locomotiva:
la macchina pulsante sembrava fosse cosa viva,
sembrava un giovane puledro che appena liberato il freno
mordesse la rotaia con muscoli d'acciaio, con forza cieca di baleno.
E un giorno come gli altri, ma forse con più rabbia in corpo,
pensò che aveva il modo di riparare a qualche torto:
salì sul mostro che dormiva, cercò di mandar via la sua paura,
e prima di pensare a quel che stava a fare, il mostro divorava la pianura.
Correva l'altro treno ignaro, quasi senza fretta:
nessuno immaginava di andare verso la vendetta.
Ma alla stazione di Bologna arrivò la notizia in un baleno:
"Notizia di emergenza, agite con urgenza, un pazzo si è lanciato contro il treno!"
Ma intanto corre, corre, corre la locomotiva,
e sibila il vapore, sembra quasi cosa viva,
e sembra dire ai contadini curvi, il fischio che si spande in aria:
"Fratello non temere, ché corro al mio dovere! Trionfi la giustizia proletaria!"
E intanto corre corre corre sempre più forte,
e corre, corre, corre, corre verso la morte,
e niente ormai può trattenere l'immensa forza distruttrice,
aspetta sol lo schianto e poi che giunga il manto della grande consolatrice.
La storia ci racconta come finì la corsa:
la macchina deviata lungo una linea morta.
Con l'ultimo suo grido d'animale la macchina eruttò lapilli e lava,
esplose contro il cielo, poi il fumo sparse il velo, lo raccolsero che ancora respirava.
Ma a noi piace pensarlo ancora dietro al motore,
mentre fa correr via la macchina a vapore,
e che ci giunga un giorno ancora la notizia
di una locomotiva come una cosa viva, lanciata a bomba contro l'ingiustizia!
03 Piccola città (04.38
Piccola città, bastardo posto, appena nato ti compresi,
o fu il fato che in tre mesi mi spinse via?
Piccola città, io ti conosco nebbia e fumo, non so darvi
il profumo del ricordo che cambia in meglio;
ma sono qui nei pensieri le strade di ieri, e tornano
visi e dolori e stagioni, amori e mattoni che parlano.
Piccola città, io poi rividi le tue pietre sconosciute,
le tue case diroccate da guerra antica;
mia nemica strana, sei lontana coi peccati, fra macerie
e fra giochi consumati dentro al Florida;
cento finestre, un cortile, le voci, le liti e la miseria:
io, la montagna nel cuore, scoprivo l'odore del dopoguerra.
Piccola città, vetrate viola, primi giorni della scuola,
la parola e il mesto odore di religione;
vecchie suore nere, con che fede in quelle sere avete dato
a noi il senso di peccato e di espiazione!
Gli occhi guardavano voi ma sognavan gli eroi, le armi e la bilia;
correva la fantasia verso la prateria, fra la Via Emilia e il West.
Sciocca adolescenza, falsa e stupida innocenza, continenza,
vuoto mito americano di terza mano;
pubertà infelice, spesso urlata a mezza voce, a toni acuti,
casti affetti denigrati, cercati invano;
se penso a un giorno o a un momento ritrovo soltanto malinconia;
è tutto un incubo scuro, un periodo di buio gettato via.
Piccola città, vecchia bambina, che mi fu tanto fedele,
a cui fui tanto fedele, tre lunghi mesi;
angoli di strada, testimoni degli erotici miei sogni,
frustrazioni e amori a vuoto, mai compresi.
Dove sei ora, che fai? Neghi ancora o ti dài, sabato sera?
Quelle di adesso disprezzi o invidi e singhiozzi se passano davanti a te?
Piccola città, vecchi cortili, sogni e di primaverili, rime e fedi giovanili,
bimbe ora vecchie; piango e non rimpiango la tua polvere e il tuo fango,
le tue vite, le tue pietre, l'oro e il marmo, le catapecchie;
così diversa sei adesso, io son sempre lo stesso, sempre diverso:
cerco le notti ed il fiasco, se muoio rinasco, finché non finirà.
04 Incontro (03.38
E correndo mi incontrò lungo le scale
quasi nulla mi sembrò cambiato in lei
la tristezza poi ci avvolse come miele
per il tempo scivolato su noi due.
Il sole che calava già
rosseggiava la città
già nostra ed ora straniera
incredibile e fredda;
come un istante "deja vu"
ombra della gioventù
ci circondava la nebbia.
Auto ferme ci guardavano in silenzio
vecchi muri proponevan nuovi eroi
dieci anni da narrare l'uno all'altro
ma le frasi rimanevan dentro in noi
"cosa fai ora, ti ricordi,
eran belli i nostri tempi,
ti ho scritto è un anno,
mi han detto che eri ancor via".
E poi la cena a casa sua,
la mia nuova cortesia,
stoviglie color nostalgia.
E le frasi quasi fossimo due vecchi
rincorrevan solo il tempo dentro in noi
per la prima volta vidi quegli specchi
capii i quadri, i soprammobili ed i suoi.
I nostri miti morti ormai,
la scoperta di Hemingway
il sentirsi nuovi
le cose sognate e poi viste
la mia America e la sua
diventate nella via
la nostra città tanto triste.
Carte e vento volan via nella stazione
freddo e luci accese forse per noi lì
ed infine in breve la sua situazione
uguale quasi a tanti nostri film:
come in un libro scritto male
lui si era ucciso per Natale
ma il triste racconto sembrava
assorbito dal buoi
povera amica che narravi
dieci anni in poche frasi
e io i miei in un solo saluto.
E pensavo dondolato dal vagone
"Cara amica il tempo prende il tempo dà
noi corriamo sempre in una direzione
ma qual sia e che senso abbia chi lo sa
restano i sogni senza tempo
le impressioni di un momento
le luci nel buio
di case intraviste da un treno
siamo qualcosa che non resta
frasi vuote nella testa
e il cuore di simboli pieno."
05 Canzone dei dodici mesi (07.04
Viene Gennaio silenzioso e lieve
un fiume addormentato
fra le cui rive giace come neve
il mio corpo malato
il mio corpo malato
Sono distese lungo la pianura
bianche file di campi
son come amanti dopo l'avventura
neri alberi stanchi
neri alberi stanchi
Viene Febbraio, e il mondo è a capo chino
ma nei convitti e in piazza
lascia i dolori e vesti da Arlecchino
il carnevale impazza
il carnevale impazza
L'inverno è lungo ancora, ma nel cuore
appare la speranza
nei primi giorni di malato sole
la primavera danza
la primavera danza
Cantando Marzo porta le sue piogge
la nebbia squarcia il velo
porta la neve sciolta nelle rogge
il riso del disgelo
il riso del disgelo
Riempi il bicchiere, e con l'inverno butta
la penitenza vana
l'ala del tempo batte troppo in fretta
la guardi, è già lontana
la guardi, è già lontana
O giorni, o mesi, che
andate sempre via;
sempre simile a voi
è questa vita mia;
diverso tutti gli anni
e tutti gli anni uguale,
la mano di tarocchi
che non sai mai giocare.
Con giorni lunghi al sonno dedicati
il dolce Aprile viene
quali segreti scoprì in te il poeta
che ti chiamò crudele
che ti chiamò crudele
Ma nei tuoi giorni è bello addormentarsi
dopo fatto l'amore
come la terra dorme nella notte
dopo un giorno di sole
dopo un giorno di sole
Ben venga Maggio e il gonfalone amico
ben venga primavera
il nuovo amore getti via l'antico
nell'ombra della sera
nell'ombra della sera
ben venga Maggio, ben venga la rosa
che è dei poeti il fiore
mentre la canto con la mia chitarra
brindo a Cenne e a Folgòre
brindo a Cenne e a Folgòre
Giugno, che sei maturità dell'anno
di te ringrazio Dio
in un tuo giorno, sotto al sole caldo
ci sono nato io
ci sono nato io;
E con le messi che hai fra le tue mani
ci porti il tuo tesoro
con le tue spighe doni all'uomo il pane
alle femmine l'oro
alle femmine l'oro
O giorni, o mesi, che
andate sempre via;
sempre simile a voi
è questa vita mia;
diverso tutti gli anni
e tutti gli anni uguale,
la mano di tarocchi
che non sai mai giocare.
Con giorni lunghi di colori chiari
ecco Luglio il leone
riposa e bevi, e il mondo attorno appare
come in una visione
come in una visione
Non si lavora Agosto, nelle stanche
tue lunghe oziose ore
mai come adesso è bello inebriarsi
di vino e di calore
di vino e di calore
Settembre è il mese del ripensamento
sugli anni e sull'età
dopo l'estate porta il dono usato
della perplessità
della perplessità
Ti siedi e pensi e ricominci il gioco
della tua identità
come scintille brucian nel tuo fuoco
le possibilità
le possibilità
Non so se tutti hanno capito Ottobre
la tua grande bellezza
nei tini grassi come pance piene
prepari mosto e ebbrezza
prepari mosto e ebbrezza
Lungo i miei monti, come uccelli tristi
fuggono nubi pazze
lungo i miei monti, colorati in rame
fumano nubi basse
fumano nubi basse
O giorni, o mesi, che
andate sempre via;
sempre simile a voi
è questa vita mia;
diverso tutti gli anni
e tutti gli anni uguale,
la mano di tarocchi
che non sai mai giocare.
Cala Novembre, e le inquietanti nebbie
gravi coprono gli orti
lungo i giardini consacrati al pianto
si festeggiano i morti
si festeggiano i morti
Cade la pioggia, ed il tuo viso bagna
di gocce di rugiada
te pure, un giorno, cambierà la sorte
in fango della strada
in fango della strada
E mi addormento come in un letargo
Dicembre, alle tue porte
lungo i tuoi giorni con la mente spargo
tristi semi di morte
tristi semi di morte
Uomini e cose lasciano per terra
esili ombre pigre
ma nei tuoi giorni, dai profeti detti
nasce Cristo la tigre
nasce Cristo la tigre
O giorni, o mesi, che
andate sempre via;
sempre simile a voi
è questa vita mia;
diverso tutti gli anni
e tutti gli anni uguale,
la mano di tarocchi
che non sai mai giocare.
06 Canzone della bambina portoghese (05.34
E poi e poi, gente viene qui e ti dice
Di sapere già ogni legge delle cose
E tutti, sai, vantano un orgoglio cieco
di verità fatte di formule vuote
E tutti, sai, ti san dire come fare,
Quali leggi rispettare, quali regole osservare,
Qual è il vero vero,
E poi, e poi, tutti chiusi in tante celle,
Fanno a chi parla più forte
Per non dir che stelle e morte fan paura.
Al caldo del sole, al mare scendeva la bambina portoghese
Non c'eran parole, rumori soltanto come voci sospese.
Il mare soltanto, e il suo primo bikini amaranto,
Le cose più belle e la gioia del caldo alla pelle.
Gli amici vicino sembravan sommersi dalla voce del mare;
O sogni o visioni qualcosa la prese e si mise a pensare;
Sentì che era un punto al limite di un continente,
Sentì che era un niente, l'Atlantico immenso di fronte.
E in questo sentiva qualcosa di grande
Che non riusciva a capire, che non poteva intuire;
Che avrebbe spiegato, se avesse capito lei, e l'oceano infinito;
Ma il caldo l'avvolse, si sentì svanire e si mise a dormire.
E fu solo del sole, come di mani future.
Restaron soltanto il mare e un bikini amaranto.
E poi e poi, se ti scopri a ricordare,
Ti accorgerai che non te ne importa niente.
E capirai che una sera o una stagione
Son come lampi, luci accesee dopo spente.
E capirai che la vera ambiguità
è la vita che viviamo, il qualcosa che chiamiamo esser uomini,
E poi, e poi, che quel vizio che ci ucciderà
Non sarà fumare o bere, ma il qualcosa che ti porti dentro,
cioè vivere, vivere e poi vivere
07 Il vecchio e il bambino (04.20
Un vecchio e un bambino si preser per mano
E andarono insieme incontro alla sera.
La polvere rossa si alzava lontano
E tutto brillava di luce non vera.
L'immensa pianura sembrava arrivare
Fin dove l'occhio di un uomo poteva guardare,
E tutto d'intorno non c'era nessuno
Solo il tetro contorno di torri di fumo.
I due camminavano, il giorno cadeva
Il vecchio parlava e piano piangeva.
Con l'anima assente, con gli occhi bagnati
Seguiva il ricordo di miti passati.
I vecchi subiscon le ingiurie degli anni
Non sanno distinguere il vero dai sogni,
I vecchi non sanno, nel loro pensiero
Distinguer nei sogni il falso dal vero.
E il vecchio diceva, guardando lontano,
"Immagina questo coperto di grano,
Immagina i frutti, immagina i fiori
E pensa alle voci e pensa ai colori.
E in questa pianura fin dove si perde
Crescevano gli alberi e tutto era verde,
Cadeva la pioggia, segnavano i soli
Il ritmo dell'uomo e delle stagioni."
Il bimbo ristette, lo sguardo era triste,
Gli occhi guardavano cose mai viste,
E poi disse al vecchio con voce sognante
"Mi piaccion le fiabe, raccontane altre."
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Note e significato:
01 Radici (07.12
A proposito di “Radici” mi piace ricordare questo piccolo aneddoto raccontato da Enzo Biagi:
“Abbiamo delle nonne in comune io e Guccini. Fa piacere avere tra i parenti un tipo come lui. Sembra che non si sia mai allontanato da Pàvana, e racconta storie che hanno come scenario quei paesaggi che hanno accompagnato anche la mia infanzia: col cuore e le parole dei poeti.”
02 La locomotiva (08.17
“La Locomotiva” è sicuramente la canzone più celebre del cantautore emiliano, che la usa da sempre come chiusura dei propri concerti. La canzone è ispirata a una storia vera, della quale Guccini è venuto a conoscenza grazie a un vicino di casa:
Tratto da “Il Disastro di ieri alla Ferrovia - l'Aberrazione di un Macchinista” articolo de “Il Resto del Carlino” del 21 luglio 1893.
Poco prima delle 5 pomeridiane di ieri, l'Ufficio Telegrafico della stazione riceveva dalla stazione di Poggio Renatico un dispaccio urgentissimo (ore 4,45) annunziante che la locomotiva del treno merci 1343 era in fuga da Poggio verso Bologna. Lo stesso dispaccio era stato comunicato a tutte le stazioni della linea, perché venissero prese le disposizioni opportune per mettere la locomotiva fuggente in binari sgombri dandole libero il passo in modo da evitare urti, scontri o disgrazie. [...]
Capo stazione, ingegneri e personale del movimento furono sottosopra e chi diede ordini, chi si lanciò lungo la linea verso il bivio incontro alla locomotiva che stava per giungere. Non si sapeva ancora se la macchina in fuga era scortata da qualcuno del personale; e solo i telegrammi successivi delle stazioni di San Pietro in Casale e Castelmaggiore, che annunziavano il fulmineo passaggio della locomotiva, potevano constatare che su di essi stava un macchinista e un fuochista. Ma la corsa continuava e la preoccupazione alla ferrovia cresceva... [...]
Alle 5,10 [la locomotiva] entrava dal bivio e passava davanti allo scalo, fischiando disperatamente, con una velocità superiore ai 50 km. Sulla macchina c'era un uomo che, invece di dare il freno, cercare di fermare, metteva carbone... Era un uomo che correva, che voleva correre alla morte! Il personale lungo la linea agitando le braccia, gridando, gli faceva cenno di fermare, di dare il freno; taluno gli urlò di gettarsi a terra, ma egli rimaneva imperterrito nella locomotiva. Un esperto macchinista, il Mazzoni, che era lungo la linea e lo vedeva correre incontro a morte sicura, gli gridò: “Buttati a terra!” ; ma il giovanotto - che giovane era lo sciagurato - dalla banchina a lato della piazza tubolare della caldaia tenendosi alla maniglia di ottone, si portò sul davanti della locomotiva sotto il fanale di fronte, attaccato sempre alla maniglia e colla schiena verso la stazione dov'era il pericolo.
La locomotiva andò quindi a sbattere contro la vettura di prima classe ed i sei carri merci che si trovavano in sosta sul binario tronco alla velocità di 50 chilometri orari. Al momento dell'urto egli era sulla fronte della macchina e i presenti che lo videro esterrefatti passare dinanzi a loro affermano che proprio al momento dell'urto egli si sporse in fuori, volgendo la testa verso la vettura, contro alla quale andava a dar di cozzo.
L'urto, disastroso per la macchina e i carri, fu tremendo per l'uomo. Egli rimase preso fra la macchina e il vagone di prima classe schiacciato orribilmente. Accorsero funzionari delle ferrovie, di P.S., guardie, personale viaggiante e manovali e il disgraziato fu tosto riconosciuto. È certo Pietro Rigosi di Bologna, di anni 28,
fuochista da parecchi anni e buon impiegato... A Poggio Renatico, mentre il macchinista Rimondini Carlo era sceso un momento, il Rigosi aveva sganciato la locomotiva del treno merci e poi l'aveva lanciata a tutta velocità legando la valvola del fischio, per modo che destò l'allarme per tutta la corsa. Avrebbe potuto pentirsi durante il tragitto e dare il freno (che funzionava bene anche dopo la catastrofe) ma egli non volle. Probabilmente un'improvvisa alterazione di cervello che lo rese crudele contro se stesso, perché, per quanti pensieri di famiglia egli avesse, non giustificavano certo un tentativo di suicidio che poteva costare la vita a molte altre
persone.
03 Piccola città (04.38
“Piccola Città” narra dell'adolescenza di Guccini, trascorsa in buona parte a Modena. Come si può intuire dal testo della canzone, quello di Modena non è stato un periodo molto felice per l'autore. A tal proposito Guccini racconta:
“Modena è per me l'esilio da Pàvana e l'attesa di Bologna. Modena è 'mia nemica strana', la mia adolescenza, il periodo forse più tragico della mia vita perché nell'immediato dopoguerra le aspettative e le speranze erano tante e le possibilità di realizzarle quasi nulle. Se aggiungiamo che 'Piccola Città' la scrissi in un
periodo bolognese molto felice, ecco che si capisce il senso della canzone”
04 Incontro (03.38
Guccini racconta l'episodio alla base di “Incontro”
“Incontro parla di un'amica mia che, bontà sua, era innamorata di me. Era anche molto carina, ma aveva poche tette e io ero molto sensibile all'argomento. Oggi guardo altre cose, anche perché sono cambiati i tempi. In quegli anni avere la ragazza senza tette era un handicap mica da ridere. Con questa ragazza rimanemmo comunque amici.
Diventò professoressa di ginnastica e si sposò con un americano che viveva a Bologna. Per un po' vissero in America, poi si trasferirono a Berlino e fu lì che si innamorò di un altro, un tipo piuttosto instabile, purtroppo. Così, quando a Natale lei raggiunse suo figlio in America, lui fece l'albero e si impiccò. Al suo ritorno
in Italia la mia amica venne subito a cercarmi per raccontarmi cos'era successo. Andai a trovarla, e dopo quel pomeriggio trascorso insieme scrissi Incontro, forse il mio primo tentativo di scrivere per immagini veloci, molto cinematografiche. [...] Non è vero che ci siamo incontrati con lei che mi correva lungo le scale. Però tutto sommato era carino, sembrava la sequenza di un film di Lelouch al rallentatore...”
A livello letterario la canzone trae ispirazione da diversi autori:
“La tristezza poi ci avvolse come miele” è ispirato a “Suzanne” di Leonard Cohen (“The sun pours down like honey”);
“Le stoviglie color nostalgia” è una doppia citazione di Gozzano. Nella poesia “La più Bella” , da cui Guccini ha tratto “L'isola non Trovata” , il poeta definisce l'azzurro il colore della lontananza e quindi della nostalgia. Nella poesia “La Signorina Felicita ovvero la Felicità” , invece, l'azzurro diventa il colore delle stoviglie ( “E gli occhi fermi, l'iridi sincere / azzurre di un azzurro di stoviglia”);
“Noi corriamo sempre in una direzione / ma qual sia e che senso abbia chi lo sa” è tratta da una frase di Edmund Husserl ( “Il tutto infinito scorre infinitamente in una direzione, quale sia noi non lo potremo sapere”).
05 Canzone dei dodici mesi (07.04
Gonfalone
E' il vessillo sul quale compare lo stemma di una città o di un paese. I gonfaloni (talvolta anche “confaloni” ) vennero introdotti nell'età dei Comuni e in seguito adottate anche da corporazioni e compagnie mercantili.
Cenne e Folgòre
Da i poeti Cenne della Chitarra e Folgóre da San Gimignano. Guccini si rifà alle loro composizioni e ne approfitta per citare i suoi ispiratori. Vedere anche le due note successive.
Cenne della Chitarra
Così soprannominato perchè solito accompagnare le sue poesie con questo strumento, era un poeta e giullare italiano vissuto tra il 1260 e il 1340. Il suo componimento più famoso è una parodia della corona dei mesi di Folgòre, dove sottolinea gli aspetti e i momenti negativi dell'anno.
Folgóre da San Gimignano
E' stato un poeta italiano, esponente della poesia burlesca, vissuto tra il 1270 e il 1332. Poco si sa della sua biografia: il vero nome era Jacopo di Michele e gli sono stati attribuiti trentadue sonetti, composti presumibilmente tra il 1308 e il 1315, i più famosi dei quali sono le due corone dedicate ai giorni della settimana e ai mesi dell'anno. In quest'ultima, il poeta elenca i lati positivi tipici di ogni stagione.
Messi
E' il plurale di messe, un vocabolo probabilmente di origine francese che indica il raccolto del grano, e, per estensione, il grano stesso.
06 Canzone della bambina portoghese (05.34
Racconta Guccini in un concerto:
“I punti geografici mi danno turbamento. Qualcosa vogliono dire, qualcosa significano ma noi non lo sappiamo. Perchè a noi è concessa l'Intuizione non la Conoscenza, meno che mai la Verità... Io non amo quelli che girano con la verità in tasca. E questa canzone, fatta di due canzoni, è stata scritta proprio contro chi pensava di avere la verità in tasca, soprattutto quelli che all'epoca chiamavamo ” compagni “. Loro erano sicuri, io invece avevo dei grandi dubbi. In mezzo [alla canzone vera e propria] c'è un'apparizione, un fantasma, in un punto geografico che è la fine di un mondo e l'inizio di un altro. C'è una ragazzina che qualcosa intuisce ma non riesce a capire. E se ne frega.”
07 Il vecchio e il bambino (04.20
“Il vecchio e il bambino” racconta il dialogo tra due generazioni separate da un disastro atomico che ha quasi cancellato la vita dal Pianeta Terra: il vecchio racconta com'era la vita prima dell'evento distruttivo; il bambino ascolta con attenzione credendo però che il racconto, ai suoi occhi troppo bello e fantasioso, sia in realtà un fiaba.
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